2021

Ieri è stata una domenica tragica per la protesta dei cittadini in Myanmar che hanno dimostrato con le 3 dita alzate ed al grido “non accettiamo il colpo di stato”  il supporto per Aung San Suu Kyi, per la quale vogliono la liberazione. In strade e piazze non solo nella ex-capitale Yangon, ma anche nella capitale Naypydaw ed in tutte le province.

uccisioni in Myanmar
Myanmar – La famosa pagoda Schwedagon – Foto Pixabay

Sono ormai milioni di cittadini dietro la protesta che sta dilagando a macchia d’olio. La polizia non si è limitata questa volta alle bombe lacrimogene o a sparare proiettili di gomma, ma ha cominciato a colpire i dimostranti con pallottole vere.

I dati confermati sono di 18 vittime, ma molte fonti riportano che sarebbero più di 30 e siamo ora agli inizi se ci ricordiamo i precorsi: quelli delle rivolte, sempre soppresse del 1988 e quella del 2007, finite in poche settimane senza curarsi delle vittime civili, a migliaia. Questa volta però la rivolta “5 volte 2” (22.02.2021) è molto diversa rispetto alle precedenti perché l’odierna è “connessa”, comunica via internet, anche se i canali di comunicazioni con il mondo esterno sono condizionati.

I giovani hanno oggi una esperienza ben diversa da quella del 1988 e soprattutto la protesta è appoggiata dalla popolazione. I cittadini hanno sostenuto le dimostrazioni contro i militari scioperando e paralizzando gran parte dei settori produttivi: fabbriche, ministeri, scuole, trasporti, ospedali.

Ora i giovani sono quindi coscienti di non essere soli, anche se sanno che il nemico da battere è potente e radicato profondamente nel sistema. Sotto il controllo del Tatmadaw, cioè le forze armate che sostengono il generale leader Min Aung Hlain, opera un “sistema” possente che non solo controlla il potere militare, ma anche quello economico.

L’esercito è il secondo per dimensione nel Sud-Est Asia, costa al paese il 10% della spesa pubblica: 406 mila soldati più 107 mila paramilitari e polizia. Mezzo milione di persone per un paese di 40 milioni.

 A fornire l’esercito di armi, oltre a Cina e Russia, l’Ucraina, la Corea del Nord, Filippine, Singapore ed Israele. Chiaro che appetto di eventuali sanzioni, alcuni di questi paesi sarebbero del tutto indifferenti.

Inoltre il Tatmadaw è anche un centro di potere economico, opera con alcune entità come la Myanmar Economic Holding e la Myanmar Economic Corporation, definite da molti “crony corportations” (cioè holdings corrotte).

Esse controllano ogni settore economico e sono di fatto l’esplicitazione di “uno stato nello stato”. Sono presenti nei traffici di giade, rubini, gemme e di tanti altri prodotti lucrativi.

Se osserviamo ad esempio gli aiuti del Giappone (9.5 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni) c’è da domandarsi, con i regimi militari, dove siano stati investiti. È notizia dei giorni scorsi che la Kirin, gigante nipponico famoso per la birra, ha deciso di rompere la joint venture con il socio delle holdings del Tatmadaw per evitare di essere criticata per le scelte.

L’esercito partì da una storia positiva: lo scontro con gli inglesi per l’indipendenza della Birmania (vecchio nome del Myanmar). Il  padre di Aung San Suu Kyi, Aung San, assassinato nel 1947 dichiarò l’insurrezione armata contro i giapponesi e lottò per l’indipendenza del paese dal Regno Unito (1948).

Dopo di lui, dal 1965 in poi, il  paese fu guidato di fatto dai generali, nonostante un certo rallentamento democratico negli ultimi anni, controllando  il parlamento avendo per legge il 25% dei seggi garantiti ed i 3 ministeri più importanti.

Il partito di Aung San Suu Kyi,  vincendo nettamente le ultime elezioni, è andato oltre le previsioni e quindi è diventato troppo pericoloso lasciarlo progredire.

Non dimentichiamo che Tatmadaw con i suoi tentacoli nel business foraggia decine di migliaia di ufficiali, generali e famiglie che non vogliono rinunciare al loro benessere garantito.


La domanda che ci si pone alla fine è chi prevarrà dal sanguinoso scontro che ormai è cominciato.

Molti analisti non si pronunciano. Molti birmani temono che il Tatmadaw si comporterà come nel 1988, cioè usando la violenza.

La stessa spietatezza che hanno usato contro i Rohingya , una minoranza mussulmana sottoposta a genocidio. Circa 750’000 di loro sono fuggiti in Bangladesh e vivono miserabilmente in precariato. Migliaia sono stati uccisi, stuprati e torturati. Villaggi interi dati alle fiamme. 

Altri commentatori più realisti stimano che i generali anche questa volta prevarranno, ma questa volta sarà come la “vittoria di Pirro”.

Vittorio Volpi