Taj Mahal – Pixabay

Dopo un picco di circa 100 mila infezioni giornaliere toccate a settembre 2020, il numero dei casi di infezione Covid-19 era iniziato a diminuire. Ma ha ripreso a salire a marzo con un picco a metà aprile più del doppio del precedente.

La pandemia sta dilagando ultimamente in India ad un ritmo sbalorditivo: oltre 850 mila casi giornalieri nell’ultima settimana. Soltanto pochi mesi prima, i dati raccolti sugli anticorpi di molte persone già infettate in città di grandi dimensioni, avevano suggerito che il peggio fosse passato. Le ripetute indagini sierologiche svolte dai ricercatori dal 18 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021, testando gli anticorpi dell’infezione passata SARS Covid-2, hanno portato a stimare che oltre il 50% della popolazione indiana era già stata esposta al virus, il che avrebbe dovuto conferire l’immunità. Gli studi, guidati dall’epidemiologo Manoj Murhekar, hanno suggerito che a livello nazionale oltre 271 milioni di persone erano state infettate, ovvero un quinto dell’intera popolazione indiana (1,4 miliardi).

Cifre che hanno reso i ricercatori ottimisti sul fatto che la fase successiva della pandemia sarebbe stata meno grave. Ma l’ultima evoluzione costringere a ripensare sul lavoro di ricerca svolto che potrebbe non essere stato rappresentativo dell’intera popolazione e che non rifletteva forse la diffusione irregolare del virus.

L’India si vantava a marzo di essere la farmacia del mondo e un mese dopo scopre non solo che scarseggiano i vaccini, ma che non ha abbastanza ossigeno negli ospedali per affrontare la seconda ondata della pandemia che la rende il secondo paese più colpito dopo gli Stati Uniti. Il fabbisogno complessivo di ossigeno medico del paese è aumentato di oltre 9 milioni di metri cubi.

Si sta cercando di capire ora i punti ciechi nella risposta sulla seconda devastante impennata di infezioni che non ha precedenti. Un qualcosa che serve come un duro avvertimento per gli altri paesi.

Gran parte dell’ultima ondata è probabilmente dovuta ad una combinazione di comportamento sociale, debolezze nel sistema sanitario indiano e decisioni politiche.

La scoperta in India di una nuova variante nota come B.1.167, che presenta una doppia mutazione e più trasmissibile rispetto ai ceppi precedenti, in aggiunta all’aumento non controllato delle interazioni sociali grazie all’allentamento troppo veloce dei blocchi e la mancanza di forniture mediche, sono le probabili cause della nuova ondata.

La capitale indiana, New Delhi, ha lanciato una gara d’appalto lo scorso ottobre per installare impianti di ossigeno negli ospedali. Ma in alcuni casi i venditori che si erano aggiudicati i contratti di fornitura, non si sono presentati per consegnare il prodotto. In altri casi, gli ospedali non hanno fornito i cavi per le connessioni elettriche. Una burocrazia esagerata sta conducendo centinaia di milioni di persone a rischiare di non avere accesso ad un elemento fondamentale per salvare la propria vita.

A marzo, il ministro della Sanità, Harsh Vardan, ha dichiarato che il paese era entrato nella “partita finale” del virus. Ma a quel punto i casi di infezione cominciavano a decollare cogliendo il governo alla sprovvista e soprattutto impreparato.

La seconda ondata in India, ha già sgonfiato le speranze di una ripresa economica. Un decimo del prodotto interno lordo che si sarebbe realizzato in assenza della pandemia, è forse definitivamente perduto. La città di New Delhi è stata chiusa per una settimana da lunedì, e Mumbai, capitale finanziaria, ha ulteriormente rafforzato le restrizioni sui negozi e sulle consegne a domicilio.

L’India, il più grande produttore mondiale di vaccini, ha lanciato un programma imponente di vaccinazione erogando più di 100 milioni di dosi, ma non è stato sufficiente e il paese è ostacolato dalla mancanza di approvvigionamento. La scorsa settimana il governo ha affermato di avere meno di 27 milioni di dosi, sufficienti per durare circa nove giorni. Ora una parte della produzione di vaccini verrà deviata per l’uso domestico, causando allarmi per le carenze in altre parti del mondo.