di Vittorio Volpi

La nostra stampa non dà molto rilievo a ciò che succede in Europa, alle mosse cinesi sempre più dinamiche in alcuni paesi. Nella fattispecie in Ungheria dove Viktor Orban ha abbracciato la causa cinese per tentare di vincere le elezioni alle quali manca solo un anno.

il Parlamento ungherese – Foto Pixabay

Di recente ha esercitato il diritto di veto contro l’UE nell’ambito delle proteste e sanzioni verso la Cina per aver introdotto illegalmente la legge sulla sicurezza nazionale ad Hong Kong che di fatto invalida i famosi accordi per 50 anni denominati one country, two systems, ovvero bandiera cinese, ma rispetto degli accordi firmati con il Regno Unito per il ritorno di Hong Kong alla Cina (1997). Passi il veto, ma ci sono alcune mosse pro Cina che sia l’opposizione politica ad Orban che la popolazione non accettano.

La prima è l’accordo per la realizzazione della ferrovia Budapest-Belgrado i cui dati (costi, a quanto ammontino i finanziamenti cinesi, durata, tassi di interesse) sono “secretati” da Orban.

L’opposizione non vorrebbe fare la fine del Montenegro che sul progetto stradale finanziato dalla Cina sta chiedendo aiuto (soldi) alla UE perché non è in grado di ripagare i prestiti a Pechino. Peraltro da ricordare che l’Ungheria ospita il centro europeo per le forniture del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Come è noto l’obiettivo 5G è molto controverso nei confronti del colosso cinese, ma Orban ha votato pro Cina.

Tutto ciò è comprensibile da parte cinese. Pechino fa i suoi interessi in questo mondo. Quel che si vuole sottolineare è quanto Pechino sia dinamico nell’inserirsi nello scacchiere europeo, quando ne vede la possibilità.

Allo stesso tempo rende evidente quanto l’UE sia frastagliata e disomogenea, annoverando fra i suoi paesi membri, come l’Ungheria, che fannosolo ed  esclusivamente i propri interessi.

Il punto più dolente per Orban in questo momento è il progetto Fudan University (Shanghai) che politicamente potrebbe costargli molto caro. Si tratta di costruire a Budapest una università cinese che molti ungheresi non vogliono, come dimostrano le manifestazioni di massa contro il progetto durante il weekend. I sondaggi dicono che i due terzi della popolazione magiara sono assolutamente contrari.

Per contestarlo il sindaco di Budapest, Gergely Karacsony ha deciso di rinominare le vie del quartiere dove sorgerebbe l’Università, una forma di resistenza creativa, con i nomi di Hong Kong, del Dalai Lama (visto da Pechino come fumo negli occhi), gli Uiguri,  il Vescovo Xie Zhiguang, simbolo della persecuzione religiosa. Karacsony ritiene il progetto Fudan un tentativo pericoloso di svendere il paese a Xi Jinping.

Veniamo al progetto. Sarebbe il  primo campus cinese rilevante in Europa. Sorgerebbe in un complesso di 500 mila m2, realizzato con operai e materiali cinesi. L’inaugurazione è prevista per il 2024. Il progetto costerebbe 1.5 miliardi di Euro che saranno a carico dei cittadini ungheresi perché 1.3 miliardi saranno i prestiti cinesi.

Il Fudan costerà più di quanto si è investito in tutto il sistema scolastico ungherese nel 2019. Ospiterebbe 8 mila studenti e 500 persone per il corpo insegnanti. Un gigante eterodiretto dalla Cina perché Fudan è considerata (fonte Corriere della Sera) la scuola d’élite del Partito Comunista Cinese con un quarto dei suoi studenti iscritti al movimento. Nel 2011 ad esempio ha inaugurato la scuola di spionaggio. L’accoglienza alla Cina è ben diversa da quella riservata circa 3 anni fa alla Central European University (sostenuta dal finanziere Soros, non gradito), costretta a lasciare Budapest.

Di per sé l’esperienza ungherese non cambia l’entità dello scontro geopolitico del secolo, quello fra Usa e Cina, ma è un mattoncino che ci fa capire dove vogliano arrivare i cinesi in Europa. Da prossima prima economia del mondo necessiteranno di basi solide e di sostenitori della Cina. Allo stesso tempo appare solare l’inconsistenza della UE dove ognuno – leggi Orban – fa quello che vuole.