Il rischio della delocalizzazione
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Riceviamo e pubblichiamo in extenso il comunicato stampa. Riassumiamone il senso. Alcune aziende del settore manifatturiero non possono applicare il salario minimo previsto dalla legge poiché se lo facessero si troverebbero costrette a licenziare e a delocalizzare, ciò che si vuole ad ogni costo evitare. Il contratto collettivo firmato non è contrario alla legge.
Sul versante sindacale è entrato in gioco il sindacato Ti Sin, diretto da due granconsiglieri leghisti – Boris Bignasca e Sabrina Aldi – e dal noto sindacalista Nando Ceruso.
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(com) Ticino Manufacturing prende posizione in merito a diverse informazioni e accuse mosse negli scorsi giorni da varie parti. Questi sono in gran parte privi di fondamenta e ignorano realtà che meritano di non essere dimenticate, poiché contribuiscono da decenni al benessere del nostro cantone. Grazie al CCL firmato si conferma che nessun lavoratore si trova in una situazione peggiorativa. Al contrario, il contratto prevede diversi benefit, un concetto meritocratico che tiene conto della formazione e dell’anzianità e un’indennità di residenza per i lavoratori residenti. Visti i tempi dell’introduzione della legge sul salario minimo e la concomitanza con la pandemia, sarebbe stato inevitabile procedere a licenziamenti di massa che avrebbero coinvolto non solo la minoranza dei collaboratori senza qualifiche, ma anche quei profili qualificati o altamente qualificati direttamente legati all’attività delle imprese.
L’entrata in vigore del salario minimo a livello cantonale ha posto alcune aziende – storicamente legate al settore manifatturiero ticinese da decenni – con le spalle al muro, pur se il salario minimo si applica per la gran parte al settore dei servizi. Le difficoltà di adattamento alla soglia unica definita dal Gran Consiglio sono state annunciate in più riprese nella fase di avvicinamento all’entrata in vigore della relativa legge. Di fronte alla complessa situazione, i membri di Ticino Manufacturing sono stati costretti a cercare delle soluzioni per evitare che l’entrata in vigore della soglia minima mettesse in pericolo l’esistenza stessa delle aziende e i molti posti di lavoro – la maggior parte dei quali con salari superiori alla soglia minima definita dal GC. Nel rispetto della legge e nello spirito del partenariato sociale, la soluzione trovata attraverso questo CCL, definito dopo un intenso dialogo con le parti interessate, è stata raggiunta al fine di:
- Preservare a medio – lungo termine la produzione in Ticino, ciò che con l’entrata in vigore del salario minimo nei tempi e nei modi previsti – e la situazione COVID che ha eroso le riserve delle aziende – sarebbe stato semplicemente impossibile per aziende che hanno storicamente una determinata componente di lavorazioni manuali in fabbrica e che non possono essere automatizzate.
- Preservare tutti (!) i salari attualmente in vigore (art. 15 cpv. 2 CCL) e permettere adeguamenti verso l’alto in base a qualifiche, anzianità, indice dei prezzi e situazione sui mercati. Da notare che delle 12 soglie minime contemplate dal CCL la metà si trovano al di sopra il salario minimo cantonale, mentre la maggior parte dei collaboratori delle aziende sono già oggi sopra la soglia minima.
- Garantire una clausola moderna e innovativa, relativa all’indennità di residenza (art. 4 cpv. 9 CCL), ciò che attualmente nessun altro CCL contempla. Questa permette di tenere conto delle particolari necessità dei dipendenti residenti.
- Rispettare i regolamenti aziendali delle singole aziende che aggiungono ulteriori prestazioni a quelle previste dal CCL, definite singolarmente da ogni azienda. Tra queste si possono citare il servizio mensa, un contributo maggiore di cassa pensione, ulteriori giorni di vacanza e congedi e altre prestazioni extralavorative.
Lavoratori senza qualifica e salario minimo
Attualmente sono diversi i CCL – firmati da altri sindacati – che contemplano salari minimi inferiori alla soglia definita dal Gran Consiglio. Il CCL sottoscritto da Ticino Manufacturing, però, prevede soglie diverse a seconda del livello di formazione e di anzianità del dipendente. Il primo livello riguarda unicamente attività manufatturiere svolte da collaboratori senza qualifica e privi di una formazione professionale. Le condizioni di tutte le altre mansioni qualificate rientrano in soglie superiori al salario minimo, considerano una scala salariale meritocratica e prevedono diversi elementi migliorativi rispetto alla situazione attuale.
Appello ad una discussione basata su cifre e fatti
Ticino Manufacturing ha preso atto con grande preoccupazione delle reazioni del mondo sindacale nei confronti delle attività e dell’operato dei suoi associati. Questi ultimi sono attivi sul territorio ticinese da molti anni (tra 40 e 70!), garantiscono numerosi impieghi sopra la soglia minima e si sono sempre adoperati, con non poche difficoltà, per il mantenimento di tutti questi posti di lavoro in Ticino, in molti casi occupati dalle stesse persone per decenni (talvolta con un’età media relativamente alta) se non addirittura per generazioni. Esse generano inoltre un importante indotto per altre imprese situate in Ticino, a loro volta datori di lavoro. La possibilità di indennizzare determinate attività manifatturiere ai salari orari definiti politicamente non è al momento data, come peraltro evidenziato a più riprese nella fase parlamentare da approfondimenti accademici. La sola alternativa è quella di delocalizzare parte della produzione o interi settori. Una delocalizzazione delle attività senza qualifica – spesso verso paesi che non conoscono un’adeguata protezione dei lavoratori – metterebbe però a rischio numerosi altri impeghi in seno all’azienda, così come le loro famiglie, ciò che toccherebbe tutte le categorie professionali e la formazione professionale in senso all’impresa. Ticino Manufacturing invita ad affrontare il legittimo dibattito legato alle attività manifatturiere in Ticino con i dati alla mano, senza cadere in gravi accuse e senza alcuna base nella realtà.
Costantino Delogu, Presidente Ticino Manufacturing