di Achille Colombo Clerici

Il Fondo antiracket e antiusura è nato 20 anni fa da un’idea di Giovanni Falcone: mira a sostenere e reinserire nell’economia legale le vittime dei due reati, ma è poco noto e va modificato. Lo si rileva da uno studio frutto di un accordo tra il Commissario straordinario del Governo e l’Università Bocconi di Milano.

Va rimarcato che tutti coloro che sporto denuncie – 319 in Italia, 37 in Lombardia, numeri irrisori rispetto all’entità del fenomeno – sono venuti a conoscenza del Fondo solo al momento in cui si sono rivolti alle forze di polizia o alle associazioni antiracket e antiusura.  Il Fondo presenta, peraltro, notevoli incongruenze, quali, nei casi di usura, l’obbligo di restituire  i ristori ottenuti e il fatto che le  denunce nei confronti  delle banche vengono ‘cassate’ in partenza. 

Lo studio rileva che i due reati – estorsione e usura – vengono commessi in contesti ben diversi: nel caso di imposizione del ‘pizzo’ la vittima subisce per paura di ritorsioni nei confronti suoi o di familiari; nel caso di usura, il criminale viene dapprima visto come persona che aiuta quando non si può più ricorrere a fonti di credito legali. In comune, l’azione criminale ha quale obiettivo, non tanto il lucrare in termini monetari, quanto l’impadronirsi dell’attività della vittima, inquinando l’economia legale, ma anche costringere la vittima stessa a diventare complice di azioni fuorilegge. 

Come ha affermato il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, riferendosi all’emergenza sanitaria Covid-19 e alla crisi economica che ne è derivata con la conseguente forte domanda di liquidità, famiglie e imprese possono, se non percepiscono un’altrettanto forte presenza dello Stato, rivolgersi a quel mondo sommerso pronto ad offrire una sorta di welfare alternativo.

Le domande di accesso al Fondo sono più frequenti in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Basilicata. Le istanze presentate da vittime di estorsione sono il doppio di quelle presentate da vittime di usura. I settori economico-produttivi più colpiti: agricoltura e allevamento (15,9%), commercio al dettaglio (15,2%), servizi di ristorazione (13,8%), costruzioni (14,5%), commercio e riparazione autoveicoli (9,0%); mentre si segnala nello studio come un’anomalia la mancanza di riscontri nei settori delle forniture ad amministrazioni pubbliche e della gestione dei rifiuti.

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