di Paolo Camillo Minotti

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I giudizi di Minotti sono severi ma le dichiarazioni “politicamente corrette” di Macron non fanno altro che seguire la moda, non disgiunte da un solido opportunismo. Anche i meno informati sanno, oggi, come conviene trattare Cristoforo Colombo o Jefferson (uno dei padri fondatori dell’America, ma che importa). Vale anche per i poliziotti di Parigi, e per gli abbandonati francesi d’Algeria.

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17 octobre Paris FLN police massacre Papon
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Domenica 17 ottobre u.s. il presidente francese Emmanuel Macron ha ricordato solennemente il cosidetto “massacro” del 17 ottobre 1961, quando la polizia francese represse duramente a Parigi una manifestazione di più di ventimila algerini – convenuti nella capitale francese su ispirazione del “Fronte di liberazione nazionale” algerino (FLNA) – che protestavano contro il coprifuoco imposto dalle autorità e rivendicavano la concessione dell’indipendenza all’Algeria. Macron ha riconosciuto le responsabilità della polizia che agiva sotto la direzione del prefetto Maurice Papon. Dalle testimonianze dell’epoca si sa che si trattò di una manifestazione repressa duramente e, da ricerche giornalistiche successive, furono accertate una trentina di morti fra i manifestanti. La censura dell’informazione (che restò in vigore unitamente al divieto di manifestare fino alla stipulazione del Trattato di Evian del 1962 che concesse l’indipendenza all’Algeria) impedì di conoscere subito il numero esatto dei morti e feriti; la polizia riconobbe sul momento solo alcuni morti; alcuni testimoni dissero però che parecchie vittime non sarebbero state conteggiate nel calcolo ufficiale perché furono gettate nella Senna dai poliziotti. Alcuni superstiti algerini e alcuni giornalisti favoleggiarono un po’ sulle cifre, parlando di “centinaia (o addirittura migliaia) di morti” e di un vero e proprio “massacro pre-ordinato”. Non va dimenticato che ci si trovava nel pieno di una “guerra propagandistica”: chi criticava la Francia per la guerra in Algeria e sosteneva gli indipendentisti algerini, tendeva a enfatizzare il comportamento francese sotto ogni aspetto.

Un episodio che va inserito nel contesto

Come ha osservato giustamente Valérie Pécresse, presidente della regione Ile-de-France e candidata alle primarie presidenziali dei “Républicains”, quell’avvenimento va però contestualizzato nel momento storico: nel 1960-’61 vi erano stati decine di poliziotti uccisi da parte di attentati del FLNA o nel corso di manifestazioni violente istigate dal medesimo. Senza voler giustificare il comportamento della polizia, secondo Pécresse non possono però essere sottaciute le violenze da parte algerina che lo avevano preceduto; estrapolare un avvenimento dal contesto storico come fa Macron è una strumentalizzazione scorretta.

Infatti nel clima di quel momento la polizia aveva legittimamente motivo di temere una manifestazione violenta; essa sicuramente agì sulla base di informazioni, giuste o sbagliate è difficile dire dopo 60 anni, in suo possesso. La percezione soggettiva da parte francese (e non solo da parte dei poliziotti) era che l’FLNA volesse importare la guerra d’Algeria nel territorio metropolitano francese! Tra l’altro va ricordato che nell’ottobre 1961 il generale De Gaulle aveva già dichiarato l’intenzione di concedere progressivamente l’indipendenza all’Algeria, abbandonando la difesa dell’Algeria francese. Restavano da stabilire solo la tempistica e le modalità attraverso cui giungerci (se attraverso un referendum fra la popolazione algerina e una fase di transizione sotto responsabilità francese, oppure se consegnando immediatamente il potere al FLNA riconoscendo in tal modo allo stesso la rappresentanza esclusiva di tutto il popolo algerino). Il governo francese, che inizialmente propendeva per la prima ipotesi, alla fine nella primavera 1962 cedette alle pretese del FLNA e si impegnò a consegnare il paese nelle mani dello stesso, assumendosi pure l’ingrato compito di debellare preventivamente la residua resistenza dei francesi d’Algeria contrari all’indipendenza. De Gaulle, convinto da Malraux e da alcuni altri consiglieri, aveva insomma già abbandonato l’idea dell’Algeria francese che aveva sempre sostenuto in precedenza; e mirava a liberarsi dalla “grana algerina” e dal peso delle colonie africane, puntando invece su un modello di collaborazione paritaria che – soprattutto per l’Africa nera – in sostanza sarebbe consistito nel continuare a mantenere una influenza economica ma senza l’onere e la responsabilità della direzione politica.

Come alcuni libri pubblicati nel 1961 attestano (per es. “Faut-il partager l’Algérie?” di Alain Peyrefitte), una parte dei politici francesi propendeva tra l’altro per staccare il Sahara dall’Algeria – con la quale in effetti ha poco da spartire essendo abitato perlopiù da tribù Tuareg ecc. – giustificando tale scelta con l’argomentazione secondo cui le risorse naturali del sottosuolo sahariano (petrolio) dovessero profittare semmai a tutti gli Stati circonvicini e non esclusivamente all’Algeria indipendente. Non si trattava di argomentazioni sballate, anzi esse miravano a correggere una certa arbitrarietà dei confini coloniali. Alla fine De Gaulle, che aveva fretta di risolvere il problema algerino per potersi dedicare alla modernizzazione della Francia, rinunciò però a porre condizioni e praticamente cedette su tutta la linea alle tesi del FLNA, pur che quest’ultimo gli facesse la cortesia “de lui foutre la paix” e nella speranza di poter comunque continuare lo sfruttamento del petrolio in collaborazione franco-algerina.

Per tornare alla rievocazione del 17 ottobre 1961, tale manifestazione si iscriveva dunque nell’ambito di un braccio di ferro politico (ma anche terroristico!) tra il FLNA e il governo francese, sullo sfondo cruento della guerra d’Algeria che non era ancora conclusa. Algeria dove, d’altra parte, le intenzioni annunciate da De Gaulle di concedere a medio termine l’indipendenza avevano fomentato una ribellione di segno opposto (nei ranghi militari e dei francesi d’Algeria), che il governo Debré non esitò a reprimere con metodi sbrigativi e brutali. Metodi brutali che contrastavano con la “mano tesa” di De Gaulle al FLNA…..

L’ipocrisia di Macron

Quindi, come si vede, la rievocazione da parte di Macron di quella giornata è smaccatamente di parte, e visibilmente mira solo ad ottenere il voto di una parte dei francesi di origine algerina, confidando d’altra parte che i francesi “de souche” e i poliziotti che si trovarono dall’altra parte (o i loro discendenti) abbiano dimenticato le circostanze di allora. Una strumentalizzazione scorretta a fini politici.

Ma c’è un fatto che va messo in rilievo: quand’anche la rievocazione di quella giornata di violenza fosse giustificata e opportuna, il modo ipocrita con cui Macron lo ha fatto è inescusabile. Se veramente il presidente giudicava opportuno “chiedere scusa” ai manifestanti algerini e condannare la repressione della polizia francese, avrebbe dovuto avere il coraggio di fare i nomi dei più alti responsabili e non fermarsi alle responsabilità dei poliziotti e del prefetto Papon. Ognuno sa che nessun prefetto o capo della polizia, in tali circostanze, agisce di sua esclusiva iniziativa senza consultarsi almeno con il ministro dell’Interno, insomma con l’autorità politica. Questo in tutti i Paesi. Si potrebbero citare casi molto noti: per limitarsi alla Francia, per esempio  nel maggio parigino del 1968 è stato documentato ampiamente da molti giornalisti che le famigerate manifestazioni studentesche erano monitorate ora per ora dal primo ministro Pompidou e dal presidente De Gaulle (i telefoni dell’Hotel Matignon e dell’Eliseo, sede rispettive delle due autorità, erano letteralmente in fibrillazione); in quell’occasione – come documentò il giornalista Philippe Alexandre nel libro “L’Elysée en péril (2 – 30 mai 1968)” – Pompidou fece tutto il possibile per disinnescare la violenza studentesca ed evitare che ci scappasse il morto. Figuriamoci ai tempi della guerra d’Algeria, quando vigeva il coprifuoco e il divieto di manifestare: gli ordini di reprimere non li dava sicuramente il solo prefetto Maurice Papon, ma venivano dall’alto: dal ministro dell’Interno Roger Frey, dal primo ministro Michel Debré (entrambi fedelissimi “gaullisti”, che si sarebbero gettati da una finestra del quinto piano se il generale De Gaulle glielo avesse chiesto…) e in ultima analisi da De Gaulle stesso, che dall’Eliseo tirava i fili di tutte le decisioni importanti!

Perché dunque Macron, che ha la presunzione di riscrivere la storia (celebre è restato il suo discorso ad Algeri in cui dichiarò che il colonialismo e la conquista dell’Algeria furono un “crimine contro l’umanità”), ha tralasciato di chiamare per nome quelli che caso mai sarebbero i responsabili di quei fatti, perché erano le più alte autorità politiche del tempo: il generale De Gaulle, Michel Debré, Roger Frey? La risposta è ovvia: l’ha tralasciato per opportunismo, perché criticare apertamente De Gaulle (che è una specie di “mito fondante” della Francia di oggi, che viene citato e celebrato a ogni pie’ sospinto – a proposito e a sproposito – da ogni politico che vuole in qualche modo legittimarsi) lo avrebbe esposto a reazioni critiche severe da parte dei politici e dell’opinione pubblica, proprio nel momento in cui egli sta cercando di rubare voti ai “Républicains” mettendo in avanti nel suo governo e nella sua maggioranza ex gaullisti come Bruno Le Maire et Edouard Philippe! Insomma: molto meglio fustigare il prefetto Papon, di cui a nessuno importa nulla e che ovviamente non può più rispondere, piuttosto che criticare il “mostro sacro” De Gaulle oggi venerato da destra a sinistra! Ma si tratta di un modo di fare ingiusto e ipocrita. Qui sta tutta la sottile perfidia di Macron.