Per quarant’anni, o forse più, ho fatto tutto quello che ho potuto per dare al popolo case, ospedali, scuole. E quando aveva fame, gli ho dato cibo. Ho trasformato Bengasi da un deserto in un territorio fertile; ho resistito agli attacchi del cowboy Reagan quando, tentando di uccidermi, ha assassinato un’orfana, mia figlia adottiva, una povera bambina innocente. Ho aiutato i miei fratelli e le mie sorelle dell’Africa con denaro per l’Unione Africana. Ho fatto di tutto per aiutare il popolo a comprendere il concetto del vero potere popolare, secondo il quale i comitati popolari governano il nostro paese.

testamento di Gheddafi
immagine Pixabay (azazelok)

Per alcuni tutto questo non bastava mai: gente che aveva case di dieci stanze, abbigliamento e mobili di lusso. Egoisti come sono, chiedevano sempre di più a spese degli altri, erano sempre insoddisfatti e dicevano agli Statunitensi e ad altri visitatori che volevano “democrazia” e “libertà”. Non si volevano rendere conto che si tratta di un sistema di tagliagole, dove il cane più grosso divora tutto. Si facevano incantare da queste parole, non rendendosi conto che negli USA non ci sono medicine gratuite, ospedali liberi, case libere, istruzione libera, cibo garantito. Per costoro non bastava nulla di quello che facevo. Ma per gli altri ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l’unico vero capo arabo e musulmano che avessimo avuto dai tempi di Saladino, un uomo che restituì il Canale di Suez al suo popolo, come io ho rivendicato la Libia per il mio. Sono state le sue orme che ho cercato di seguire, per mantenere il mio popolo libero dal dominio coloniale, dai predoni che ci vorrebbero derubare…

Ora sono sotto l’attacco della più grande forza militare della storia. Il mio piccolo figlio africano, Obama, vuole uccidermi, togliere al nostro paese la libertà, le nostre libere abitazioni, la nostra libera medicina, la nostra libera istruzione, il nostro cibo sicuro, per sostituire tutto ciò con la rapina di stile statunitense chiamata “capitalismo”. Ma noi tutti, nel Terzo Mondo, sappiamo cosa ciò significa. Significa che le grosse imprese private governano i paesi, il mondo, e che i popoli soffrono. Così per me non c’è alternativa: devo resistere. Se Allah vorrà, morirò sulla Sua Via, quella che ha arricchito il nostro paese di campi fertili, viveri, salute e ci ha perfino consentito di aiutare i nostri fratelli africani e arabi a lavorare qui con noi, nella Giamahiria libica.

Non desidero morire; ma se dovessi arrivarci, per salvare questa terra, il mio popolo, le migliaia di miei figli, allora sia pure così.

Lasciate che questo testamento sia la mia voce al mondo. Dica che mi sono opposto agli attacchi dei crociati della NATO, alla crudeltà, al tradimento, all’Occidente e alle sue ambizioni colonialiste. Che ho resistito insieme coi miei fratelli africani, coi miei veri fratelli arabi e musulmani. Ho cercato di fare luce. Quando altrove si costruivano palazzi, ho vissuto in una casa modesta e in una tenda.

Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non ho sprecato le nostre ricchezze nazionali e, come Saladino, il nostro grande condottiero musulmano che salvò Gerusalemme per l’Islam, ho preso poco per me… In Occidente qualcuno mi ha definito “pazzo” e “demente”. Conoscono la verità, ma continuano a mentire. Sanno che la nostra terra è indipendente e libera, non soggetta al colonialismo. Sanno che la mia visione e il mio cammino sono sempre stati onesti e nell’interesse del mio popolo. Sanno che lotterò fino all’ultimo respiro per mantenerci liberi. Che Dio ci aiuti”.

5 aprile 2011

Testo tradotto dal professor Sam Hamod, ICH