Non siamo Talebani e apprezziamo le nudità, ma essendo figli dell’Antica Grecia pretendiamo che le nudità siano gradevoli. E tuttavia, al tempo dell’elogio dei difetti, fisici e morali, apprezzare la bellezza, fisica e morale, diventa pericolosamente interpretabile come suprematismo.

Sanremo lo sa bene e come ospiti monologanti invita, oltre al “solito” Fiorello, un certo Angelo Duro, dal nome d’arte che dovrebbe fare sorridere, che ha la galante e sciccosa idea di spogliarsi, e di rimanere in mutande. Cosa ci aspettavamo, dopo che nel corso della prima serata anche una donna (famosa, in Italia) aveva fatto sfoggio delle sue opache nudità, appena velata da uno strato di paillettes?

E poi una certa blogger, famosa almeno sui social, ma non al di fuori. Sentirsi liberi, è stato l’insegnamento della prima serata, quando i luoghi comuni sovrastano.

Se il giorno prima c’è stata la moglie, il giorno seguente c’è stato il marito: il signor De Lucia ha cantato (?) un monologo contro il governo, strappando la foto di un viceministro di FdI vestito da… Hitler. Tra “bro” e “fra” (lessico colloquiale con il quale gli adolescenti si chiamano tra di loro, abbreviativo di “brother” e “fratello”) il rapper, come la moglie alla soglia dei 40 anni, ha intessuto un testo basato sull’elogio dei colleghi Maneskin, del collega Rosa Chemical, e tra aborto e turpiloquio, ha concluso citando il grande campione Vialli, scomparso prematuramente.

Cos’è, dunque, Sanremo? Artisti a parte (bravi davvero i concorrenti), un festival che per far parlar di sé ha bisogno di sconvolgere. Ma siamo davvero poi così sconvolti, dalla banalità della bruttezza?

Ps. Notare come da questo articolo sono stati volontariamente estromessi i luoghi comuni di “gender fluid” e/o “politicamente corretto”.