La situazione sta degenerando sempre di più in Sudan, dove l’esercito del paese sta combattendo un conflitto particolarmente acceso con un gruppo paramilitare chiamato Rapid Support Forces (RSF), gettando nel panico i civili. Per ora sono 300 i civili rimasti vittime del violento scontro mentre altre 3000 persone sono state ferite. 

Nonostante si siano negoziate diverse tregue, nessuna di queste è stata rispettata e come risultato ora migliaia di persone stanno cercando di lasciare il paese, considerato non più sicuro. Migliaia di zone non ancora coinvolte direttamente nel conflitto si stanno svuotando, soprattutto la regione vicino alla capitale Khatrum. Le persone abbandonano le loro case per fuggire in auto o a piedi, mentre l’aeroporto rimane inaccessibile in quanto al centro dello scontro. Coloro che invece già si trovano in mezzo al conflitto armato sono bloccati nelle loro case, con continui interruzione di acqua ed elettricità. In molti casi comincia a scarseggiare anche il cibo. Drammatica anche la situazione negli ospedali che devono fronteggiare un’enorme crisi senza avere tutto il personale che servirebbe. 

Per quanto riguarda gli occidentali che al momento dell’inizio del conflitto si trovavano nel paese, sembrerebbe che i singoli stati non abbiano ancora deciso come affrontare la situazione. Gli USA hanno smentito per ora l’esistenza di una missione di salvataggio, mentre i tedeschi e i giapponesi sembrerebbero intenzionati a mandare degli aerei per recuperare i propri cittadini. 

All’origine del sanguinoso conflitto c’è la faida del generale Abdel Fattah al Burhan e il vicepresidente del paese, generale Mohamed Hamdan Dagalo. Quest’ultimo è al comando di un esercito indipendente, il RSF appunto, che conta circa 100mila uomini. L’attuale governo aveva intenzione di sciogliere il gruppo paramilitare per rimettere il potere nelle mani dell’amministrazione civile. Soluzione che non ha trovato supporto tra le file degli uomini di Dagalo, sfociando nel conflitto aperto tra le parti lo scorso sabato.