Prese l’album delle fotografie e lo chiuse dicendo:

-“Venga piuttosto a vedere il ritratto del mio cane…” e condusse Ruben attraverso l’appartamento verso una grande stanza che era tappezzata da scaffali stracolmi di libri. Nell’atrio passarono davanti ad un comò sul quale troneggiavano molte fotografie.

-“L’altare degli antenati…” – disse Charlotte.

-“Questa? – chiese Ruben indicando la foto di una giovane donna vestita con calzoncini cortissimi ed aggrappata ad una parete rocciosa e strapiombante – è lei?”

-“Si – sono stata io… nei giorni dei tempi felici…”

Ruben guardò da più vicino e pensò che questa foto spiegava le gambe e braccia muscolosi, ovviamente la piccola donna aveva un passato bello sportivo.

-“Va ancora in montagna?”

-“No… Il branco continua la sua migrazione mentre gli animali feriti rimangono indietro. Vengono abbandonati e diventano vecchi solitari…”

-“Ma adesso ha messo il cuore in pace…”

-“No – disse Charlotte chinando il capo in modo pensieroso – non sono riuscita ad “elaborare il lutto…”

-“Il lutto?”

-“Si fa per dire… Quando si porta i propri cari in terra sono morti, ma sono lì. È una certezza.  Non più poter seguire il ritmo normale da un sentimento di dubbio, di abbandono.”

-“Aspetta il ritorno di qualcuno?”

-“ No.”

-“Non serve nemmeno pensarci…”

– “Non serve pensarci però rimane la delusione.”

Nella biblioteca erano appesi diversi dipinti.

-“Lei ha seguito corsi accademici ?”

-“Accademia d’arte? No… Le scuole d’arte sono per i fabbricanti. Io disegno e dipingo e scrivo da quando sono nata. Le tecniche s’insegnavano nella scuola media. Per il resto, quando uno disegna o dipinge ogni giorno, cerca, impara, studia, sperimenta… Va a visitare mostre e musei, legge libri di teoria… Johannes Itten…”

-“I grandi artisti vanno alle accademie…”

-“No. Non si diventa artista, si nasce artista. Quelli che imparano sono fabbricanti, operai, magari anche bravi. Hanno imparato bene i principi della prospettiva, dell’armonia dei colori, della composizione di una scena. Questo non è arte, è un lavoro come un altro. L’artista è quello che d’istinto dipinge quello che sente. Quando è finita la tela, tutto è perfetto: la composizione, l’accostamento dei colori, tutto… È come un poeta. S’impara l’ortografia, regole e forme. È possibile costruire delle poesie, ci sono addirittura dizionari delle rime. Il vero poeta prende la matita e scrive quello che esce dalla sua emozione, ed è li, perfetto, non si può cambiare una virgola… Nessuno può costruire una poesia di Baudelaire, nessuno può costruire un dipinto di Gérome Bosch…”

-“Quale è il suo preferito?”

-“Appunto: Bosch, Magritte, Permeke…”

-“A me piace molto Chagall, ma mi piace anche l’arte non figurativa contemporanea…”

-“Aaah… – disse Charlotte con smorfia di disprezzo… – troppi ciarlatani… Troppi trucchi per ingannare i creduli… troppo business…”

Avrebbero potuto discutere per ore e chiaramente nessuno dei due avrebbe cambiato parere perché erano due mentalità diverse.

Ruben aveva lavorato nella sartoria di suo padre fin da bambino poi aveva imparato la professione. Aveva finito la sua carriera come manager trasformando progressivamente la piccola bottega in un atelier di moda rinomato. Aveva seguito le sfilate a Parigi e New York ed era diventato esperto nella gestione seria e fiorente. Era stata una vita concreta di lavoro, di commercio e di business.

Invece Charlotte aveva inseguito le chimere tra libri e cime di montagne. La sua professione medica aveva richiesto quasi più intuizione che conoscenze scientifiche. Era un’altra mentalità.

-“Niente musica?”- chiese Ruben.

-“No, purtroppo, non suono nessuno strumento, mi manca… Per questa ragione seguo lezioni di chitarra… È senza speranza… Ma continuo a ripetere la partitura del Jesus Bleibet Meine Freude come esercizio fisico e spirituale. Il suono crea onde positive per illuminare il mio plesso solare. E lei?”

-“Un po’ di sassofono… Mi ricorda Glenn Miller… A proposito ho visto che possiede addirittura due chitarre…”

-“Ah, si…- rispose Charlotte – vorrei poter dire che une serve a suonare Django Reinhardt e l’altra Fernando Sor… Invece la realtà è più deludente.. Tutti, un giorno o l’altro, hanno creduto che la chitarra è facile da suonare… Ogni tanto mi ne viene regalata una che è rimasta per anni appesa ad un muro come decorazione o addirittura dimenticata in solaio…”

-“E non ascolta musica, nemmeno in sottofondo?”

-“Ho lì molta bella musica – disse Charlotte mostrando uno scafale di CD ed aprendo un armadio colmo di vecchi long playing – ma non riesco più a fare diverse cose in una volta. O ascolto musica o scrivo o dipingo o rigoverno le stoviglie. Oggi ho il lusso di poter fare una cosa per volta. Mi piace sempre di più il silenzio…”

-“E legge molto…”

-“Si, leggo molto.”

-“Diverse lingue… anche in tedesco…” chiese esaminando un ripiano di libri in fiammingo.

-“Si diverse lingue ma non il tedesco, almeno se posso evitare, evito…”

-“Come mai?”

-“Sarà un’antipatia congenita… Fin da bambina ho sentito le storie della guerra, di mio padre nel campo di concentramento…”

-“Campo di concentramento? – chiese lui alzando la testa di scatto – ma non siete ebrei? ”

-“No. Allora, da noi non era indispensabile essere ebrei. Una mattina arrivava l’ordine militare di marcia. Il giorno dopo si era sul fronte e tre giorni dopo in un campo di concentramento, in Austria…”

-“Ma guarda – disse Ruben pensieroso – a me che sono ebreo questo è stato risparmiato, mentre a voi che non lo siete…”

Ritornarono in salotto.

-“Dovrei affrontare con lei un problema spinoso.”- disse di punt’in bianco Charlotte.

-“Sentiamo…”

-“Mi piace la sua compagnia, ma uno degli elementi centrali nelle relazioni tra persone è la condivisione dei pasti… Ecco, devo confessare che sono una pessima cuoca, che odio cucinare ed in più… Come già detto: non so niente delle vostre tradizioni culinarie… D’altra parte non possiamo mangiare pane e formaggio ad ogni pasto…”

-“Anche a me questi obblighi danno fastidio – disse Ruben diventato serio – ma ormai, o si accettano e si seguono seriamente o non si accettano… ed in più… Visto che faccio parte di una piccola comunità, io devo essere presente in sinagoga ogni mattina ed ogni sera per la preghiera… Anche tutte le volte che ci sono feste… e quelle non mancano… Naturalmente osservo anche le direttive dello shabbat…”

-“Ma lei ci crede davvero all’esistenza di Dio?”

-“No… cioè… Non è una questione di fede. È che abbiamo la Legge e proviamo di ubbidirci…”

-“Allora forse è questa la prova dell’esistenza di Dio…”

-“Quale?”

-“Bè, che Dio si stia divertendo giocando con noi…”

-“Giocando con noi?”

-“Si… Dio prende un libero pensatore e gli fa incontrare un cattolicissimo membro di Comunione e Liberazione. Oppure combina un cristiano con un ebreo. Oppure un ebreo con un buddista. O un buddista con un musulmano. O un musulmano con un ateo… È un gioco, anche crudele, un po’ come quei poveretti in pasto alle belve del Colosseo…”

-“Già… se Dio esiste… a furia di stancarsi dell’eternità… perché non potrebbe farci questi scherzetti… E se Dio non esiste, allora la nostra unica speranza di paradiso è qui, durante questa vita, su questa terra… ed anche questa sera…”

-“Comunque, oggi lei non sarà presente per l’ufficio della sera…” – disse Charlotte chiedendosi, appunto, per quale castigo di quello stesso Dio le era capitato un individuo complicato invece di un uomo normale che ti porta a ballare il venerdì sera e a mangiare le costine di maiale il sabato.

-“No – disse Ruben – ed è contrario alla mia convinzione… Sgarro il meno possibile… solo raramente…”

-“Allora sono privilegiata…”

-“Si, in un certo modo… Ma anch’io ho una domanda: come mai è riuscita a collezionare tanti amanti?”

-“Ah – rispose Charlotte in modo del tutto naturale come se la cosa fosse ovvia – L’unico uomo che ho amato è morto molto giovane. Avevo 30 anni. Anzi, a trent’anni ero stata spostata, avevo avuto dei figli, ero divorziata e poi sono rimasta vedova. Ho cercato disperatamente a prolungare la sua presenza. Nessuno gli assomigliava. Poi ho voluto dimenticarlo, ma quello non mi riusciva. Ho voluto rimpiazzarlo e quello era ancora più difficile… Quindi, ad un certo punto, dopo 20 anni di tentativi inconcludenti, mi sono rassegnata… Sono la donna di un solo uomo… Ragion per cui sono rimasta sola da moltissimi anni…”

-“La donna di un uomo solo ma con cinquanta amanti…” disse Ruben pensando che questa era roba da capogiro, riscontrabile unicamente nella logica femminile.

-“Ho perso il conto davvero… Per un tempo ho tenuto una statistica… ma non risolveva niente… Era troppo deludente. A lungo andare ho smesso di pensarci… Mi sono rassegnata a non cercarlo più… Ho pianto, pregato, supplicato… in vano… Poi ci sono state le occasioni mancate. Per un periodo, attorno ai quarant’anni, tutti i miei conoscenti erano sposati. Poi, progressivamente, hanno iniziato a divorziare ed a godersi la libertà ritrovata. Ci sono pure stati gli incroci infelici. Sarebbe forse bastato un cenno. Non c’è stato. Ognuno ha proseguito la sua strada solitaria pensando che l’altro non sarebbe stato interessato. Ci vuole così poco per passare accanto alla felicità. Comunque per questa sera… pane e formaggio?”

-“Si, ottimo… – disse Ruben – pane e formaggio…” e finirono anche la bottiglia di vino.

Poi, si sedettero davanti al camino con un bicchiere di Gin. Si sedettero un pò più vicini… Ruben mise un braccio attorno alle spalle di Charlotte e l’attirò contro di se dicendo:

-“È forse andare un po’ troppo velocemente… Ci conosciamo appena… Ma alla nostra età… non c’è nemmeno più molto tempo…” Siccome Charlotte non resisteva, egli depositò un pudico bacio nel suo collo. 

7 continua