Heraklion, una città che in greco moderno si pronuncia Iraklion, ma che nella storia ha avuto diversi nomi, primo fra tutti, Candia, con cui è conosciuta ancora oggi.
Quello che stupisce prima vista il visitatore, è l’imponente fortezza veneziana, che si staglia sul porto da più di 400 anni. Le prime fortificazioni, in realtà, risalgono all’VIII secolo d.C., con probabile funzione difensiva contro l’espansione araba.
Nel 1415, tuttavia, Cristoforo Buondelmonti progettò la prima fortificazione turrita, In quello che all’epoca si chiama Castellum Communis. La torre fu tuttavia seriamente danneggiata da un terremoto nel 1508, e non fu più ricostruita. Nel 1523 fu invece rimpiazzata da un sistema difensivo chiamato fronte bastionato. Vennero costruiti lo sperone, per “tagliare” la furia delle onde che, trasportate dal vento del Nord, provengono dal continente, e, con simile funzione, la porporella. La nuova fortezza fu chiamata “Rocca a Mare”, e per la costruzione di essa si fece un largo riuso del materiale ellenistico. La costruzione del forte fu completata nel 1540, le sue fortificazioni non si fermarono mai, per far fronte alle sempre più imminenti minacce turche.
Alla fine, nel 1669, Creta cade in mano agli ottomani, che chiamarono la fortezza “Su Kulesi”, ovvero ”la fortezza dell’acqua”.
La conquista era stata violenta, e sotto i colpi di cannone, l’ala sud era crollata.
Solo dal 1864, quando Creta fu libera dal dominio turco, la fortezza fu restaurata, sino al 1913, quando Creta fu annessa alla Grecia.
Coi suoi 3600 metri quadrati, il castello veneziano si estende con una forma quadrangolare ed una proiezione semicircolare verso sud-est. L’inclinazione prende il nome di “ scarpa” e cambia a seconda del lato.
Il leone di San Marco che ancora oggi veglia dall’alto del forte, risale al 1533; e agli anni successivi risalgono ai corridoi che portano alla terrazza sovrastante, alle “ uscite di emergenza”, alle “ bocche” che permettevano alla fuoriuscita di polvere da sparo, in caso di utilizzo dei cannoni.
Soldati ufficiali potevano vegliare sul “cordone”, e vivere di stanza l’interno delle ampie, umide, buie stanze del forte. Magari, nelle pause alternate, prendere il sole dalla terrazza ellittica, dalla quale oggi si ammira la distesa del mare a nord, della città a sud, gli aerei che si alternano ogni 10 minuti, portando riportando turisti, in un’isola ormai rinata.
Dopo la capitolazione di Candia-Heraklion al gioco Ottomano, nel 1669, Creta cadde infatti in un periodo di violenta crisi. la conquista turca interruppe violentemente la fioritura finanziaria e culturale dell’isola, che fino ad allora era stata conosciuta come “ Rinascimento cretese”.
L’ultimo fuoco di cultura ellenistica era stato estinto per sempre, e Creta soggiogata al Comune destino di tutta la Grecia. le perdite umane furono ingenti, così come la massiccia immigrazione dei cretesi verso occidente. La popolazione cretese, sotto il dominio turco, diminuì così, drasticamente.
E il poeta Emmanuel Zane Bounialis scrisse: “ anche se tutti i cretesi avessero potuto far fronte comune, non avrebbero potuto trionfare: soltanto 10.000 di loro, all’epoca, erano ancora vivi; poiché tutti gli altri furono uccisi, catturati, dispersi”.
Il viaggiatore francese Pitton de Tournefort, che visitò Candia solo trent’anni dopo non sono caduta, la descrisse come “ una città relitto”. L’economia era stata abbandonata, tutto era relegato ora all’agricoltura di sussistenza. Le condizioni di vita erano durissime, le tasse opprimenti, l’oppressione sociale pressante, i conquistatori crudeli.
Victor Hugo scrisse a riguardo: “perché Creta non risorge? Perché con una mano Dio la rese i più bel posto sulla terra e con l’altra, i turchi la resero il più miserabile. Perché produce ma non commercia, perché ha città ma non strade, villaggi ma non sentieri, porti ma non sicuri approdi, fiumi ma non ponti, bambini ma non scuole, sole ma nessuna luce. I turchi l’hanno portata nell’oscurità”:
In realtà, sin dall’inizio dell’occupazione turca, i cretesi attuarono diverse ribellioni, le quali però fallirono, perché non erano organizzate.
Talune fortezze come Gramvoussa, Suda e Spinalonga rimanevano ancora sotto il dominio veneziano, e fu proprio dentro queste fortezze che si ebbero alcune alcune insurrezioni. Nel 1715 tra montagne e monasteri, i ribelli provarono ad attaccare i turchi. Furono chiamati, dai turchi, “hain”, ovvero “ traditori” e, se catturati, andavano incontro a orribili torture e a morti orrende.
Nel 1770 si ebbe la prima serie ribellione, alla testa della quale si pose un ricco mercante di barche originaria del villaggio di Sfakia, chiamato, Ioannis Vlachos, meglio conosciuto come Daskalogiannis.
La ribellione di Daskalogiannis, rientra nelle rivolte greche conosciute come “ gli eventi di Orlov”, dal nome dei due conti russi, fratelli, che sostenevano la causa dell’indipendenza greca, con la protezione dell’imperatrice Caterina di Russia. Il conte Fyodor Orlov fondò, nel 1769, seguendo gli ordini di Caterina, un’organizzazione capeggiata da Emmanuel Benaki di Mani.
Approfittando degli eventi alleati, Daskalogiannis preparò una rivolta a Sfakia.
I turchi, tuttavia, captarono informazioni che una flotta russa era salpata da Gibraltar per Suda.
La prima reazione degli abitanti di Sfakia fu quella di rifiutarsi di pagare le tasse al dominio turco nella Pasqua del 1770; contemporaneamente, i 2000 ribelli partirono, contro la guarnigione turca, il 4 aprile dello stesso anno.
La reazione turca fu immediata: 15.000 soldati ottomani attaccarono Sfakia, da più parti, ma ribelli rifiutarono di arrendersi: la città resistette, durante l’estate l’autunno seguente, a un lungo assedio, con onore e virtù. Ma i turchi bruciavano i villaggi limitrofi vendendo i bambini e le le donne come schiavi. la moglie dei due figlie dello stesso Daskalogiannis subirono lo stesso triste destino.
Alla fine ribelli furono obbligati ad un umiliante trattato che stilarono il 17 marzo del 1771, con la promessa di un amnistia.
Il pascià di Candia non mantenne la promessa: Daskalogiannis fu scorticato vivo.
I compagni dell’eroe furono imprigionati nella fortezza veneziana, da cui riuscirono a scappare miracolosamente tre anni dopo.
La ribellione di Daskalogiannis fu soltanto la prima di una lunga serie di tentativi di ribellione dei cretesi che combattevano per la loro libertà.
Durante il dominio oppressivo turco di Creta, furono numerosi poeti cretesi che inneggia la libertà, come Anthimos (Akakios) Diakrousis che scrisse l’invocazione: “ oh Cristo, come puoi sopportare così tante lacrime / fresche lacrime ogni giorno, come puoi tollerarlo? / Queste lacrime potrebbero formare un lago lago nelle quali potrebbero salvare delle navi navi! / giungete, o primavere, portatemi acqua per i miei occhi, che io possa piangere e lamentarmi con tutta la mia anima”.
O, ancora, Marinos Tzanes Bountalls, scrisse un dialogo tra il Poeta e l’isola di Candia personificata, la quale dice: “Ora il mio nome è Chankdakas, e non più “ la nobile Candia” che si oppose agli attacchi ottomani / essi a Martinengo forzarono le mie mura, / ma per Gesù esse restaranno chiuse” e continua, raccontando la battaglia alla fine vinta dagli invasori. “ Quante persone persone persero il loro cannone moschetto! Altri presero il loro posto nella città / e tutti i greci, per l’amore di Cristo, Uscirono per dare le loro vite alle morti più pietose – chi potrebbe descrivere tanta pena? […] Nessuna casa rimane intatta, nessuna porta, nessuna finestra, nessun monastero, nessun campanile […] o Europa, lamenta questo giorno, piange e strappati i capelli! / la mia fine è vicina, loro mi prendono e mi fanno schiava. / piangete per me, amici e famiglia, / o tutti voi cristiani, piangete per me, nel mio dolore”.
Come raccontano le stesse cronache turche, la flotta veneziana fu ritenuta corrotta, poiché salpò da Candia, lasciando Creta al suo destino. Soltanto una barca riuscì a fuggire verso l’isola di Dia (che dalle coste di Creta è ben visibile), all’epoca chiamata “ l’isola dei conigli”, poiché la barca era piena di persone si soffrirono per giorni la fame la sete molti di loro morirono; altri riuscirono a scappare, ma la sventura volle che li colse un temporale. Perirono tutti, e la Repubblica di Venezia non diede loro e lascia passare, nonostante tre giorni di permesso fossero garantiti. I veneziani però, portarono per 40 giorni il lutto, senza accendere lume alcuno.
Oggi il forte di Creta si staglia, silente e maestoso, memore delle tragedie passate, è un senso tetro accoglie il visitatore che entra per passeggiare tra i suoi meandri. Poi, tra ellenisti che ha ritrovate vicino al porto, in un senso di scoramento tra passato e presente, salendo gli insicuri gradini, sbuca alla luce cocente del sole dell’isola, e su sguardo si perde nell’immensa bellezza che confonde il cielo con il mare.
Per noi uomini oggi, c’è ancora futuro. Ma la memoria non deve tradire il passato.