Antonio Fogazzaro, anima delicata e contemplativa, tentò di conciliare la fede col progresso moderno. Egli era un profeta dei tempi nuovi, colui che, nel crepuscolo tra il secolo della fede e quello della ragione, tentò l’audace impresa di congiungere i fili sottili della modernità con quelli della religione. Figlio del Veneto, culla di antiche tradizioni e fervori patriottici, Fogazzaro visse in un’epoca in cui il mondo si agitava tra il rigore delle vecchie credenze e l’irruente avanzata delle idee moderne.
Nei suoi scritti, egli seppe infondere l’ardore di chi, pur ancorato alla sponda della fede, tende lo sguardo verso il mare aperto della modernità. “Il santo”, il suo capolavoro più ardito e controverso, è la testimonianza del tormento interiore di un’anima in cerca di redenzione, di una Chiesa che, pur immobile nella sua granitica maestà, anela a un rinnovamento profondo. In quest’opera, Fogazzaro narra con fervore il cammino di Piero Maironi, un uomo che brama la santità non solo per sé, ma per una Chiesa più pura, più vicina al cuore pulsante del mondo moderno. Questa sua visione, però, non trovò accoglienza nella Chiesa del tempo, che, vedendo nelle sue parole un’eresia, mise il romanzo all’Indice, come un monito ai sognatori che osano sfidare l’ortodossia.
Ancor prima, nei “Piccolo mondo antico” e “Piccolo mondo moderno”, Fogazzaro aveva dipinto con tratto delicato e struggente le vicende di un’Italia in trasformazione, dove il vecchio e il nuovo si scontrano, dove la fede semplice e sincera si misura con le tentazioni del progresso. Le sue pagine sono intrise di una nostalgia dolente per un mondo che si va perdendo, e al contempo di una speranza luminosa per un domani in cui la tradizione religiosa possa trovare nuovo vigore nella modernità.
Il legame di Fogazzaro con il Canton Ticino è intessuto di memorie e affetti. In quel lembo di terra, baciato dalle acque placide del Lago di Lugano, trovò rifugio e ispirazione. Le verdi colline e i tranquilli borghi ticinesi divennero il riflesso del suo animo, in bilico tra il desiderio di quiete e la necessità di confrontarsi con i tumulti interiori. Oria, piccolo villaggio adagiato sul lago, fu per lui un’oasi di pace, e le sue descrizioni del paesaggio ticinese, così vivide e piene di reverente ammirazione, rivelano quanto quel luogo gli fosse caro, un microcosmo dove natura e spirito si fondono in armonia.
Antonio Fogazzaro non fu soltanto un romanziere, ma un mediatore tra due mondi. Egli credeva che la scienza e la fede, la modernità e la tradizione, potessero non solo coesistere, ma arricchirsi vicendevolmente. Nella sua visione, il progresso non era un nemico della fede, ma un compagno di viaggio, e la religione, lungi dall’essere un’ancora che trattiene, doveva divenire una vela che spinge l’uomo verso ad un futuro in cui progresso tecnologico e bontà di cuore convivono.
In un’epoca di scontri e di divisioni, Fogazzaro sognava una sintesi, un’armonia che sapesse cogliere il meglio di entrambe le sponde. E così, le sue opere, intrise di un sentimento sacro, rimangono un canto dolente e sublime, un invito a riconciliare l’animo umano con le sfide del mondo moderno, senza mai perdere di vista la luce eterna della fede.
La sua importanza per il Ticino va oltre la letteratura; egli contribuì a rafforzare i legami culturali tra questa terra e l’Italia, lasciando un’impronta indelebile nella memoria collettiva. E mentre le acque del Lago di Lugano continuano a lambire le sponde tranquille della villa in cui visse, il suo ricordo vi aleggia ancora, come un’eco lontana che parla di fede, bellezza e di quella ricerca incessante di un equilibrio tra l’antico e il nuovo, tra cielo e terra, tra sacralità eterna e futuro.
Liliane Tami