Si aprono i festeggiamenti indetti dall’associazione olandese che combatte, ormai da decessi [o… decenni? ndR] e con grandi successi, a favore del diritto alla morte (NVVE).
Dopo 15 anni dall’entrata in vigore (10 aprile 2001) della legge che permette di scegliere la morte, è tempo di bilanci. Questi ultimi indicano che l’attività e le battaglie politiche dell’associazione hanno portato ottimi risultati. Si è passati dalle 1882 persone morte in seguito a eutanasia nel 2002, alle 5306 nel 2014. Un incremento notevole, non c’è che dire. Questo a dimostrazione che una legislazione liberale, in materia di eutanasia, non è in grado di contenere gli abusi.
Alfine di pubblicizzare i successi e di raccogliere nuovi consensi per le prossime battaglie (stanno combattendo a favore della kill pill, una pillola mortale che tutti i pensionati potranno ritirare in farmacia il giorno del loro settantesimo compleanno – a principale beneficio delle casse della corrispettiva AVS olandese), l’Associazione ha previsto un programma serrato che, inaugurato il 13 febbraio terminerà il 20, e prevede proiezioni di film, documentari, dibattiti e work-shop per i più giovani, ancora ahimè ignari di tutti i diritti riconosciuti dal loro Stato.
Indipendentemente dal fatto che festeggiare il diritto alla morte risulta quanto meno macabro, cosa si festeggia? Di cosa essere tanto felici da indire un’intera settimana di attività? Ve lo dico io. Si festeggia il diritto (perché in Olanda essere uccisi è un diritto) di essere abbandonati e di non essere amati. Coloro che soffrono di una malattia incurabile (anche il diabete è incurabile!) hanno il diritto di chiedere di essere uccisi, in nome prima di tutto della dignità umana e poi, chiaramente, della libertà personale. Lo Stato garantisce che un medico, formato apposta, lo faccia. Magari lo stesso medico che la mattina ha cercato in tutti i modi di salvare una nonagenaria che voleva vivere, il pomeriggio uccide un ragazzo tetraplegico (perché è bene ricordare che non è necessario essere nella fase terminale della vita per poter beneficiare di questo servizio).
Peccato però che i dati che arrivano dall’Olanda testimoniano tutto, ma sicuramente non il rispetto della dignità umana e della libertà personale. Eh sì, perché riconoscere a un individuo il diritto di essere ucciso, significa ammettere che ormai non ha più valore, che in fondo lo Stato condivide il suo senso d’inutilità. E questo significa violare in maniera fragrante la dignità umana. Ma non si può nemmeno dire che la libertà personale sia rispettata. Lasciando perdere il fatto che, a mio avviso, anche colui che chiede volontariamente di essere ucciso, non per forza sta prevalendosi della sua libertà, i dati dimostrano che l’eutanasia viene praticata anche in assenza di una richiesta precisa e cosciente della persona in causa. Non apro il discorso sul Protocollo di Groningen, che prevede la possibilità per l’equipe medica di uccidere o lasciar morire un neonato affetto da determinate patologie, ma lo cito semplicemente per dire che anche in questo particolare frangente non è certo la libertà personale a essere messa di mezzo.
In Svizzera, niente settimana dell’eutanasia? Ebbene no! Siamo già abbastanza famosi così, con inglesi, francesi e tedeschi che vengono accolti qui per tornare a casa in una cassa da morto o in un urna (nel modico prezzo fissato dalle associazioni è compreso anche il servizio di spedizione).
Ciò detto, sbagliando, s’impara. Potremmo sempre indire la settimana del suicidio assistito. È vero, non abbiamo ancora 5000 suicidi da festeggiare, ma diamo tempo al tempo. Per il momento muoiono già più persone con l’aiuto delle varie associazioni Svizzere che sulle strade. Con la politica rivolta alla sicurezza stradale, il menefreghismo nei confronti degli abusi operati dalle associazioni e la totale manipolazione mediatica, presto anche noi avremmo 5000 morti da festeggiare.
Il malato, indipendentemente da qualsiasi considerazione, ha bisogno di essere accompagnato (nel vero senso della parola, cioè camminare insieme, fare un pezzo di strada insieme, sostenendo), di non essere ucciso socialmente, di sentire che cambia qualcosa per qualcuno sei lui è vivo o morto. E il desiderio di un malato, giunto il momento, è quello di morire tranquillamente, accanto ai propri cari, senza dolori, magari a casa. Questa è la vera eutanasia. Eh sì, perché quello che tutti ci siamo dimenticati è l’origine di questo termine. Eutanasia significava buona morte, nella sua dimensione interna, spirituale (ars bene moriendi) e nella sua dimensione esterna, fisica. Ma allora cos’è quella che festeggiano gli Olandesi quest’intera settimana? Quella che loro chiamano impropriamente eutanasia, è omicidio.
La buona morte esiste? Io credo di sì e credo che quella che il filosofo Bacone chiamava eutanasia interna sia precisamente la buona morte. Ma non è affidata a nessuna associazione per il diritto alla morte. Non sono loro ad occuparsene. La buona morte è quella che la medicina palliativa, con fatica, ha lo scopo di sviluppare. È per questo motivo che credo che accanto alla settimana che commemora gli omicidi commessi, ce ne dovrebbe essere perlomeno una a favore delle cure palliative.
Benedetta Galetti
Giurista e assistente di ricerca all’Università di diritto di Friburgo