Pubblichiamo, come sempre, questo articolo, che definiremmo di “sinistra radicale”, dovuto alla penna del nostro sempre affezionato corrispondente Carlo Curti. Gli amici mi interrogano, se pur con decrescente stupore: “Sei diventato comunista?”. A proposito, ho pronta un’intervista all’on. Pronzini!
PS. Anche a me la sinistra piace quando perde.
* * *
Dove eravamo rimasti?
Alla sinistra divenuta ormai un optional emozionale nella corsa sfrenata al benessere aleatorio e rateizzato. Sì perché essa resta simpatica solo quando perde e simpaticissima se le prende di santa ragione. Nel passato più o meno prossimo, è accaduto un paio di volte, con Gorbaciov e Allende.
Soffermiamoci sul secondo ché sul primo ogni parola aggiunta resta incollata al nulla.
Allende piace, non solo a sinistra, perché fu sconfitto, liquidato sotto due metri di terra anonima per quasi un ventennio; perché non ebbe il tempo o non volle accorgersi (propendo per questa seconda ipotesi) che il potere (“popolare” o meno) va difeso con ogni mezzo necessario e che la difesa può essere una gran brutta cosa. Senza difesa non c’è rivoluzione e non c’è difesa senza repressione. Pagò sulla sua pelle questa mancata scelta di campo. A sinistra Allende dovrebbe insegnare che non bisognerebbe fare come Allende. Il condizionale è una cortesia concessa all’odierna socialdemocrazia che non la merita né dà segni di meritarla in futuro.
Viceversa non piace la sinistra quando vince. Lenin, la costruzione del socialismo sovietico, Mao, Kin Il-sung, Ho-Chi-Minh, Castro, Chavez. I suoi leader diventano in un batter d’occhio dittatori responsabili delle peggiori nefandezze, come se l’altra parte del mondo fosse stata sempre immune da inenarrabili carneficine fatte in nome del denaro e delle tre grandi religioni monoteiste. I vincenti sono coccolati solo se fanno incetta di coppe sportive e titoli finanziari, il resto nell’immaginario collettivo “libero” è fofa.
Così vanno le cose, a braccetto con l’opportunismo “strategico”della socialdemocrazia, il suo parlamentarismo assoluto e il peso specifico insignificante su chi governa nel paese. Sono 40 anni che marciano aritmeticamente sul posto, fra sconfitte “incoraggianti” perché sono riusciti a limitare i danni e “vittorie significative” con parametri vicini allo zero. Di questo passo la difesa delle classi subalterne, per arrivare a contare davvero, dovrà impostare l’orologio come minimo sul quarto millennio. Per chi ci crede davvero, è il convento, non la seggiola in Gran Consiglio, il posto più adatto, a meno che la precedenza non sia data alle chiappe che vi si adagiano.
Insomma siamo ancora al “panem et circenses”di romana memoria, senza più gladiatori con il miraggio della libertà, rimpiazzati da falangi d’illusi che si accontentano di salvare il “pelotto” con ciò che ragionieri e scribacchini cercano di passar loro legalmente sottobanco.
C’è chi si compiace di ripetere che “un paese decente non ha bisogno di eroi”, dimenticandosi di aggiungere che non esiste decenza in un paese che a un pugno di furbi super ricchi contrappone fette di popolazione sempre meno garantite e un ceto medio “maglia gialla” dell’arrabattamento.
Ma, come dicevano dalle mie parti, i furbi operano solo se abbondano i bischeri.
Carlo Curti, Lugano