Προμηθεύς, Promethéus – Ulteriori approfondimenti e riflessioni- a cura di Martina di Giovanni
Le conoscenze “superiori” vengono sempre messe al servizio della vita, per essere fruite nei piani “inferiori”. In conseguenza di questo assunto, dal piano sottile, ognuno riceve, ma solo nella misura in cui è pronto per “assimilare”: che si tratti di contenuti o valenze archetipiche o simboliche, è solo in base al proprio livello di spiritualità e coscienza che a ogni individuo giunge solo ciò che per esso può essere culturalmente “ammissibile” per il suo intelletto. Il “donare”, invece, in una diversa misura, implica sempre una grande responsabilità rispetto al ricevere. Nelle vicissitudini che si dipanano nel mito di Prometeo giunte a noi attraverso Esiodo, Eschilo e Platone c’è da chiedersi se l’uomo fosse stato debitamente “istruito” prima della fuori-uscita dalla sua condizione di schiavitù, nel suo incedere al di fuori dei meandri dell’ignoranza, lontano dal buio della sua caverna interiore.
È invece indubbia la buona fede di Prometeo, benefattore e filantropo dell’umanità che aveva egli stesso plasmato con l’argilla ed il fuoco e si ravvede anche nel semidio la preoccupazione di scongiurare quella che per le sue creature sarebbe stata un’esistenza destinata agli stenti, alla fame, all’ esposizione agli agenti esterni e, molto probabilmente, ad una infausta morte. La sua disubbidienza, tuttavia, implicherà anche delle conseguenze per le creature delle quali era stato l’artefice demiurgo e per perorare la cui causa, ritenendosi un loro “pari”, – e qui abbiamo il divino che non intende ergersi a qualcosa di disgiunto dal piano umano compie un “sacrificio” e questo gesto è degno di ulteriore rilevanza ed approfondimento. Prometeo sbaglia, ma poi avremo -in un momento successivo- la sua “redenzione” con la sua liberazione narrata nella tragedia di Eschilo e riassunzione, alla sua morte, nel phanteon divino . Zeus lo punisce perché donare il fuoco agli uomini, significava anche deprivare o sotto certi aspetti depotenziare gli dei del loro dominio assoluto sui mortali, forti dell’acquisizione dei benefici della tecnica e dello sviluppo di una probabile alterigia rispetto al loro incontrovertibile volere.
Tuttavia, se potessimo allargare la riflessione al momento attuale, potremmo constatare come il genere umano abbia certamente migliorato il suo status attraverso la graduale e massiva introduzione della tecnologia e come, a questo incremento funzionale, non sia tuttavia conseguito un’eguale e progressivo sviluppo inerente il piano coscienziale e spirituale. Probabilmente, l’Adam, non avendo terminato il suo lavoro di perfezionamento interiore che doveva inevitabilmente portarlo all’idea dello sviluppo del sommo bene e di quell’idealismo, di quella moralità, di quella eticità di cui l’empatia (-se non la filantropia-) costituiscono la naturale evoluzione e risultanza, ma, al contrario, abbracciando al una “bassa” prospettiva ego-riferita e di esibizione del potere, ha fallito. L’uomo è al centro di una ristretta creazione, nel mezzo di questa porzione di universo elementare, ma è completamente irridente in termini di rispetto e di connessione con gli altri regni e gli altri esseri che albergano tale piano caduco e transeunte: quello animale, vegetale e minerale .
Egli, piuttosto che onorare la sua tensione naturale alla “filosofia occulta” è diventato un “prestigiatore di bassa lega” che non sa più avvalersi in modo dialettico della natura profonda di questa interazione. La depauperazione, lo “spreco” ed il vilipendio, vanificano e non onorano la “sacralità” della Natura e della sua condizione che lo spingono a trascendere la scintilla che in potenza alberga in lui e di cui poteva avvalersi, rispettando l’universo elementare. Per poter ricevere e potersi “relazionare” , bisogna essere – prima di tutto- consapevoli e rendersi degni interiormente di essere una parte funzionale di un tutto organico molto più ampio. . In questo modo, ignis non assurge (e di tutto ciò non può esimersi neanche lo stesso Prometeo), a elemento di purificazione e sublimazione metafisica, ma solo di distruzione e caduta.
Alla virtù -αρετή- si può tendere solo acquisendo la giusta misura, katà mètron, come contenimento della propria forza espansiva, del desiderio smodato, dell’attitudine a volere sempre e necessariamente felicità, comprendendo ciò che è veramente giusto ed ottenibile e ciò che è non potrà mai esserlo. . .