Viviamo in un’epoca storica nominata Post-Modernità in cui l’arte è caratterizzata da un relativismo estremo. L’arte digitale realizzata dall’AI, la banana di Cattelan o le performances di Marina Abramovic sono alcuni esempi di un certo tipo di creatività che, avendo smarrito ogni rimando verso al Bello, l’Utile e il Vero, esiste solo in relazione al marketing che l’autore è in grado di compiere. Per certi versi, l’arte odierna che sembra aver smarrito la capacità di riprodurre un volto umano è quasi iconoclasta.
In questa intervista a don Gianluca Busi, maestro iconografo, cercheremo di comprendere l’importanza dell’Arte Sacra intesa come strumento per avvicinarsi a Dio.
Don Gianluca Busi, docente di iconografia bizantina, sacerdote, teologo e artista è vice-assistente nazionale dell’Associazione degli artisti cattolici italiani. Tiene dei corsi di iconografia in Italia e all’estero e il suo canale Youtube “gianluca busi” , in cui spiega sia come realizzare, icone che comprenderne il messaggio, vanta oltre 3 milioni vi visualizzazioni. Ha collaborato con diverse televisioni, radio e giornali, ha pubblicato svariati articoli accademici e libri sul tema delle icone ed è titolare del sito www.ilsegnodigiona.it.
Don Gianluca, innanzitutto grazie per questa intervista. Per iniziare posso chiederle lei chi è, a quanti anni ha ricevuto la vocazione religiosa? e come le è nata la sua passione per l’arte sacra?
Sono un prete della diocesi di Bologna e sono Parroco a Marzabotto, che forse molti conoscono per la tragedia dell’eccidio qui accaduto nel 1944. Ho pensato per la prima volta alla vita religiosa l’ultimo anno delle scuole superiori: ho ricevuto tanta luce e un senso straordinario della presenza di Dio, che mi ha conquistato completamente. Di vocazione sono un musicista non un pittore: ho studiato chitarra Classica e Jazz cominciando a 8 anni, poi ho suonato nel coro nella mia Parrocchia. Sono passato alla pittura abbastanza tardi, circa a 30 anni; ma vedo ogni forma d’arte molto vicina e intercambiabile con le altre.
Come è nato il suo amore specifico per le Icone bizantine?
Una volta ordinato prete fai assegnato ad una grande Parrocchia in una città della pianura e dopo alcuni anni di iper-lavoro, mi trovai molto svuotato, nell’attività pastorale e sentii di aver perso il contatto con la persona di Gesù Cristo. L’icona fu un dono che ricevetti in questo momento difficile, in cui Gesù mi riconsegnò la sua presenza attraverso il suo Volto. In concreto questo incontro l’ho ricevuto attraverso l’icona del volto di Rublev del Gesù misericordioso: fra l’altro Rublev stesso dipinse questo splendido volto proprio grazie ad una vera e propria apparizione di Gesù, nell’atto di perdonarlo dopo un lungo periodo di oscurità.
Ci spieghi il concetto di arte come Via Pulchritudinis.
Dio parla misteriosamente attraverso la sua creazione: “I cieli narrano la Gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento..” (Sal. 19,2). Se qualcuno ascolta questa sua voce misteriosa può capire, come dicevano i nostri medioevali, riprendendo un concetto dei pensatori classici. che Dio opera tutto attraverso “peso e misura” e quindi attraverso l’Armonia. Ora fare cose artistiche, se ben fatte significa riproporre l’Armonia che risuona nella creazione, mettendo in grado i fruitori di un’opera d’arte di sentire la melodia che sta nel profondo di ogni cosa.
Lei a volte va alla Biennale di Venezia? Cosa ne pensa?
La Biennale per me è come la dieta, ogni anno dico: Devo andare alla Biennale, poi passato l’evento mi dico: andrò il prossimo anno J. Penso che sia un grande evento, lo seguo attraverso la stampa e sono soprattutto contento per l’impegno del Vaticano di questi ultimi anni.
Chi è il suo santo o pittore di riferimento?
Sono diviso fra due amori: Andrej Rublev e il Beato angelico, di entrambi condivido la vita religiosa. La cosa che mi colpisce di più in questi artisti è l’incontro con il Cristo vivente che gli consente di vedere la realtà trasfigurata, i loro colori trasudano di eternità e riempiono gli occhi di gioia e speranza per le cose che ci attendono. Una frase che mi guida è questa attribuita da Vasari al Beato Angelico e che è stata scolpita sulla sua tomba a Roma: “Chi vuole dipingere Cristo, con Cristo deve stare sempre”.
Tra il 1997 e il 2006 ha studiato iconografia col maestro Aleksandr Stal’nov dell’Accademia Teologica di San Pietroburgo. Ci parli di questa esperienza.
In seguito al crollo dell’Unione sovietica all’inizio degli anni ’90, la Scuola di Seriate nei pressi di Bergamo e altre istituzioni italiane, iniziarono a invitare Maestri iconografi delle accademie russe: faccio notare che per questi stessi maestri l’iconografia era un’attività clandestina, per cui in brevissimo tempo si sono ritrovati liberi di dipingere e molto velocemente alcuni dei migliori sono stati chiamati in occidente. Per noi fu un’esperienza notevole e abbiamo incontrato non solo grandissimi artisti, ma e direi soprattutto, uomini di incredibile fede, maturata nella clandestinità dei tempi sovietici e che ci ha contagiato. Il Maestro Stalnov, veniva in Italia per lunghi periodi e dava corsi residenziali d’icone, poi cominciò a dipingere chiese facendosi aiutare a diversi livelli dagli allievi che formava nei corsi residenziali. Attualmente, diventato io stesso un maestro iconografo ho sempre cercato di cristallizzare l’insegnamento di Stalnov nei manuali che ho scritto, in particolare, i miei testi “Il segno di Giona” e “Superiori agli angeli” che di fatto rielaborano gli insegnamenti che a mia volta ho ricevuto. E’ molto bello e stimolante sentirsi all’interno di una tradizione viva, che ha attraversato tante fatiche e persecuzioni, ma che ancora oggi trasmette non solo un modo di dipingere ma un modo di sperimentare la fede, personalmente e come Chiesa.
Ha notato una grande differenza tra la spiritualità nell’arte qui in Occidente rispetto alla spiritualità ortodossa in Russia?
Mah cosa dire? Abbiamo radici comuni che vanno riscoperte, la frase più felice in questo senso è l’invito a: “Tornare a respirare a due polmoni”, pronunciata da san Giovanni Paolo II in occasione del centenario del 2° Concilio di Nicea del 787. Se ricordiamo le nostre radici comuni cioè, che erano nostre prima dello scisma del 1054 capiremo che le nostre tradizioni d’oriente e quella occidentale nata con Cimabue e Giotto hanno radici comuni e si dovrebbero arricchire a vicenda. Purtroppo la critica rinascimentale, ci ha obbligato a leggere in occidente l’arte orientale in senso deteriore e con un forte accento critico. In realtà se rileggiamo le nostre opere occidentali alla luce del patrimonio che abbiamo in comune con l’oriente (faccio questa cosa da anni per Radio Maria per la rubrica “Capolavori dell’arte italiana” e ho pubblicato quest’anno un libro “Inestimabile svelato”. che compendia questi interventi) ci accorgiamo che sono ricche di Vangelo e di messaggio spirituale. In conclusione direi che abbiamo bisogno di rieducarci a capire che le due tradizioni non sono una opposta all’altra, ma andrebbero comprese come una a favore dell’altra, riconcedendoci un respiro, appunto a due Polmoni.
Oggi vi sono alcuni artisti che cercano di conciliare arte astratta e fede, nonostante Giovanni Damasceno avesse parlato dell’importanza della raffigurazione dei volti per veicolare concetti spirituali. Lei cosa ne pensa?
Sono domande immense, mi chiedo come posso sintetizzare: L’arte astratta ha una potentissima forza concettuale e può esprimere benissimo concetti religiosi. Ad esempio le ferite nella tela di Lucio Fontana, Quadrato Nero di Kazimir Malevic, gli sfondi vibranti di Mark Rotko, se capiti in profondità esprimono la vertigine di una fortissima esperienza religiosa: l’impressione di essere persi nello spazio, feriti dalla complessità della vita, che può diventare invocazione del divino. Per quanto riguarda la menzione a Giovanni Damasceno, che cristallizza la sua acquisizione nel suo testo miliare “La difesa delle immagini sacre” risalente al 730 affermando che è il principio stesso dell’incarnazione del Figlio ad esigere che la pittura ecclesiale destinata al culto debba necessariamente essere figurativa. E’ un problema molto dibattuto oggi nella Chiesa e non ci sono purtroppo chiarezze a proposito. Indico comunque ancora una volta un mio libro: “Luce del tuo volto” in cui entro in questa questione rivisitando le 5 tesi per l’arte sacra contemporanea di Papa Benedetto XVI, che a mio parere restano il punto più comprensibile per capire questa questione spinosa.
Lei tiene dei corsi in cui insegna a dipingere le Sacre Icone. Ha un atelier? Che tipologia di persone frequentano i suoi corsi? Vi sono anche dei giovani?
Quest’anno sono stato all’estero, negli Usa, in Argentina, in Polonia e in Inghilterra per diversi corsi di icone ed ho anche un laboratorio nella mia Parrocchia, dove ospito durante l’anno iconografi, spesso stranieri, per stages di perfezionamento. Le persone che frequentano i corsi sono diversissime: ad esempio in Argentina ho fatto un corso per Maestri iconografi, che a loro volta guidano delle scuole d’iconografia, In Polonia invece in genere ho tante religiose e soprattutto donne, secondo me in quella chiesa le donne si accostano all’iconografia per ritagliarsi un vero e proprio ministero ecclesiale in un contesto che tende a valorizzarle poco, il mondo anglosassone è più che altro fatto di curiosi che si accostano a cose misteriose e affascinanti. Questo per dire quanto diversi siano gli studenti che si incontrano ai corsi. I giovani sono sempre molto pochi, ma io penso che la ragione sia soprattutto economica, nel senso che l’attività di iconografo difficilmente può essere pensata come un lavoro full-time e richiede comunque molti anni di formazione per potersi affermare sul mondo del lavoro. A questo si aggiunga la fragilità tipica dei giovani in questa congiuntura storica che si sentono impauriti, anche se paradossalmente ne sono attirati, da un lavoro così esigente e che richiede grande impegno religioso e rigore.
Quanto tempo ci vuole per realizzare un’icona?
Moltissimo, per fortuna ci sono falegnamerie specializzate che possono fornire la tavola gessata già pronta per la pittura. Comunque se può servire un esempio, una piccola icona grande come un a4 richiede almeno 40-50 ore di lavoro.
Che cosa è la doratura a guazzo, di cui parla nel suo libro?
Il libro si intitola: “La Doratura” ed è scritto a 4 mani con Giovanni Raffa, la doratura che insegniamo in questo manuale, cosiddetta al “Bolo Armeno”, che risale essenzialmente ad una tecnica originale inventata dagli egiziani 5000 anni fa. Usiamo gli stessi materiali e si può con questa tecnica dorare una superficie lignea e gessata con la foglia di oro zecchino rendendola luminosa e brillante come fosse oro massiccio.
Quali sono i prossimi corsi che terrà e come ci si può iscrivere?
Per vedere i miei corsi basta consultare il mio sito www.ilsegnodigiona.it al menu /Corsi e guardare al 2025, per l’iscrizione in genere ci sono le indicazioni nei post.
a cura di Dott.Ssa Liliane Tami