Tolkien: l’uomo che seppe reinterpretare la mitologia nordica e il folclore popolare con dei valori cristiani.
Il 3 gennaio segna l’anniversario di John Ronald Reuel Tolkien, l’uomo che plasmò un mondo di parole e di meraviglie, trasformando la penna in un’arte divina e il linguaggio in una preghiera. Nato nel 1892 e vissuto fino al 1973, Tolkien non fu solo un creatore di storie; fu un alchimista della parola, un architetto di sogni, un poeta delle profondità dell’anima cristiana pur attingendo a piene mani dal mondo della mitologia e del folclore nordico.
Tolkien non scriveva solo di mondi immaginari, ma intesseva parabole eterne, capaci di esplorare il mistero del bene e del male, della caduta e della redenzione. La sua Terra di Mezzo non era un semplice reame di fantasia, ma un riflesso profondo del dramma umano. La lotta contro il potere corrotto dell’Anello rappresentava, per Tolkien, la battaglia spirituale che ogni anima combatte nel suo pellegrinaggio terreno.
Sebbene Tolkien stesso negasse che le sue opere fossero allegorie dirette, la sua fede cattolica permeava ogni fibra del suo lavoro. Era un uomo che credeva nel potere redentivo del sacrificio, nella forza della speranza e nella grazia che si manifesta nei momenti più oscuri, come il filo luminoso di Eärendil che guida Frodo e Sam nel buio di Mordor. L’amore, infatti, non è un valore pagano e presso i vichinghi la compassione era disprezzata: la carità è un valore cristiano.
Tolkien visse la sua fede con un’intimità e una coerenza che si riversarono nei suoi scritti. La sua amicizia con C.S. Lewis, la sua appartenenza alla Chiesa cattolica e il suo amore per la liturgia lo resero un uomo profondamente radicato nella tradizione cristiana. Non era un predicatore, ma un sussurratore di verità eterne. Nei dialoghi tra Frodo e Gandalf, nella misericordia di Bilbo verso Gollum, nella nobiltà di Aragorn, Tolkien rivelava il volto nascosto della grazia.
Scriveva di speranza, ma mai di una speranza ingenua. Per Tolkien, la vittoria non era mai totale su questa terra; era un preludio, un’eco di un trionfo eterno che avrebbe avuto luogo oltre i confini del tempo, nella Terra senza tramonto.
Tolkien credeva che la mitologia fosse uno strumento per avvicinarsi a Dio. La sua visione della sub-creazione – l’atto dell’uomo di creare attraverso l’immaginazione – era una risposta al dono divino della creazione. Nella sua introduzione al Silmarillion, egli descriveva Eru Ilúvatar, il Dio unico, come il compositore della grande musica del mondo, nella quale ogni creatura, persino quelle ribelli, suona una parte nell’armonia finale.
Questo senso di ordine e di mistero cosmico era un riflesso della sua fede. Come Dio si era fatto uomo in Cristo, così Tolkien credeva che l’umano potesse riflettere l’eterno nel racconto, nel mito e nella poesia.
Mentre il tempo scorre e le stagioni si susseguono, l’opera di Tolkien rimane immortale, come le sue amate terre di Valinor. Oggi, ricordiamo non solo lo scrittore, ma l’uomo di fede, il padre amorevole, il filologo appassionato, l’anima contemplativa che trovava Dio nei dettagli intricati del linguaggio e della narrazione.
Sulle sue stesse orme, nei sentieri incantati che egli tracciò, possiamo trovare la speranza e il coraggio di affrontare le nostre battaglie, sempre guidati dalla luce che non si estingue. Perché, come scrisse Gandalf, “Anche l’ombra deve passare. Una nuova alba sorgerà. E quando il sole splenderà sarà più luminoso di quanto si ricordi.”
Riposa in pace, maestro delle storie e delle anime, sotto le colline verdi e il cielo senza nuvole. Il tuo canto non si è spento; riecheggia ancora, come una preghiera che attraversa le epoche.