Israele è molto importante nel prevenire l’armamento nucleare del mondo musulmano, non solo per difendere sé stesso, ma anche per mantenere l’equilibrio del Medio oriente.

L’ Iran è una Repubblica Islamica a maggioranza sciita ed è una potenza ideologica e militare nel mondo islamico, ma anche un soggetto temuto dagli stessi paesi arabi sunniti, come Arabia Saudita, Egitto e Giordania, che vedono Teheran come una minaccia. L’Iran appoggia vari gruppi sciiti o anti-occidentali come: Hamas , Hezbollah in Libano, Houthi nello Yemen e Milizie sciite

Il programma nucleare dell’Iran continua a rappresentare una delle principali preoccupazioni per la sicurezza internazionale. Dopo anni di trattative, accordi infranti e minacce di interventi militari, il dibattito sul futuro nucleare di Teheran si è riacceso con rinnovata urgenza. A pesare, oggi, sono i timori sempre più diffusi che la Repubblica Islamica stia avanzando in modo significativo verso la capacità di costruire un’arma atomica, con potenziali conseguenze catastrofiche per la stabilità del Medio Oriente e non solo.

Il ritorno della minaccia

Gli ultimi rapporti, tra cui quello dell’intelligence austriaca, divergono sensibilmente dalle valutazioni ufficiali di Washington: secondo Vienna, l’Iran disporrebbe già di un arsenale crescente di missili balistici in grado di trasportare testate nucleari. Si tratta di un campanello d’allarme che ha spinto Israele a considerare apertamente l’opzione militare, convinto che il tempo per agire stia per scadere.

“Tutti i segnali indicano la volontà di Israele di colpire l’Iran nel tentativo di smantellare il suo programma di arricchimento dell’uranio”, riportano fonti vicine al governo di Tel Aviv. Tuttavia, nel mondo dell’intelligence e tra gli analisti occidentali, la valutazione non è univoca: una parte ritiene infatti che eventuali attacchi militari non farebbero che rafforzare la determinazione di Teheran a ottenere l’arma atomica, accelerandone i piani e aumentando il consenso interno attorno al regime.

L’eredità degli accordi falliti

Il punto di svolta nel confronto tra l’Iran e la comunità internazionale è stato il ritiro unilaterale degli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) nel 2018. L’accordo, firmato nel 2015 con l’appoggio dell’Unione Europea, prevedeva la limitazione dell’arricchimento dell’uranio in cambio della revoca delle sanzioni internazionali.

Israele ha sempre considerato il JCPOA insufficiente, un “cavallo di Troia” che avrebbe consentito a Teheran di guadagnare tempo e risorse per poi riprendere il suo programma militare in modo più aggressivo. In effetti, dopo il ritiro statunitense e la conseguente reintroduzione delle sanzioni, Teheran ha gradualmente ridotto la propria adesione ai limiti imposti dall’accordo, raggiungendo oggi livelli di arricchimento dell’uranio molto vicini alla soglia necessaria per usi bellici (secondo l’AIEA, oltre il 60%).

Verso un punto di non ritorno?

L’incertezza politica negli Stati Uniti e l’attuale crisi in Medio Oriente, aggravata dal conflitto tra Israele e Hamas, non fanno che aumentare la tensione. Secondo fonti israeliane, vi è il timore che una futura amministrazione americana, meno rigida rispetto a quella attuale, possa cercare un nuovo compromesso con l’Iran, lasciando Israele isolato e vulnerabile.

“Non può esserci un ‘buon’ accordo nucleare con l’Iran”, avvertono i funzionari israeliani. L’ombra di un conflitto diretto tra Tel Aviv e Teheran appare dunque sempre più concreta. La recente ondata di esercitazioni militari congiunte, le simulazioni di attacchi preventivi e il linguaggio sempre più bellicoso ne sono testimonianza evidente.

La questione nucleare iraniana è ben lontana da una soluzione. Tra calcoli strategici, illusioni diplomatiche e minacce incrociate, il rischio è quello di un’escalation incontrollabile. In un mondo multipolare e instabile, l’arma atomica torna ad essere simbolo di potere e strumento di deterrenza. Ma a quale prezzo?

Lili

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