La recente cancellazione, a Lugano, di un graffito pro Palestina – un murale ritenuto politicamente sbilanciato – ha riaperto un dibattito antico e fondamentale per l’identità elvetica: il significato e la difesa della neutralità svizzera. In un tempo in cui ogni gesto pubblico sembra diventare immediatamente parte di una narrazione geopolitica più ampia, la Svizzera si trova ancora una volta a dover custodire con fermezza la sua vocazione storica: non schierarsi, ma creare spazi di equilibrio.
La decisione di rimuovere l’opera artistica non è, come alcuni hanno suggerito, un atto di censura, bensì un gesto coerente con una linea secolare che ha reso la Svizzera un simbolo di mediazione, pace e asilo. In un mondo sempre più polarizzato – tra il blocco occidentale e quello eurasiatico, tra Washington e Mosca – la Svizzera non può permettersi di diventare il megafono di una sola parte. Il rischio, altrimenti, è quello di snaturare la propria funzione storica.

La neutralità svizzera, codificata giuridicamente e culturalmente, non è indifferenza morale né tiepidezza politica. È una scelta strategica e profondamente etica. È grazie a questa neutralità che la Svizzera ha potuto dare i natali alla Croce Rossa, accogliere trattative di pace, proteggere perseguitati, e offrire asilo in momenti drammatici della storia europea. Neutralità non significa voltarsi dall’altra parte, ma farsi ponte tra le parti, offrendo uno spazio terzo dove il dialogo – e non l’odio – possa trovare espressione.
Questa stessa visione la ritroviamo nella grande intuizione di San Giovanni Paolo II, quando parlava dell’Europa come di un continente che respira “con due polmoni: quello orientale e quello occidentale”. L’unità profonda, diceva Wojtyła, non si costruisce con le ideologie o con le alleanze militari, ma attraverso la reciprocità, l’ascolto e la pazienza. È in questo spirito che la Svizzera deve continuare a muoversi: come uno spazio spirituale e civile in cui le tensioni del mondo possano trovare un respiro diverso.

In tempi in cui anche le città diventano arene ideologiche, il gesto di Lugano richiama tutti – istituzioni, artisti, cittadini – alla responsabilità simbolica: ogni segno nello spazio pubblico costruisce o distrugge ponti. E oggi, più che mai, abbiamo bisogno di ponti, non di slogan.
La Svizzera non può essere il terreno per sfide propagandistiche. Deve rimanere il luogo in cui le differenze si ascoltano, non si esasperano. Ecco perché la neutralità è un bene prezioso: non un rifugio codardo, ma una scelta coraggiosa. Oggi più attuale che mai.