Bergman racconta come una fiaba nera, carica di simboli e inquietudine.
Sul litorale roccioso di una Svezia medievale devastata dalla peste, un cavaliere stanco e silenzioso ritorna dalle crociate. Si chiama Antonius Block. Accanto a lui cavalca il suo scudiero, Jöns, più disincantato, più terreno. Il mare è grigio e immobile, come se trattenesse il respiro.
Mentre il cavaliere osserva l’orizzonte, una figura appare tra le ombre: la Morte, pallida, impassibile, con un mantello nero. È venuta a prenderlo.
Ma Antonius non è pronto.
Con voce calma, quasi rassegnata, propone un patto: una partita a scacchi. Se vincerà, avrà ancora tempo — per un atto di fede, per una risposta, per capire se Dio esiste davvero o se tutto è solo silenzio.
La Morte accetta. E così, su una scacchiera tracciata nella sabbia, comincia la loro sfida.

Durante la partita, il cavaliere e il suo scudiero attraversano paesi desolati, villaggi dove la peste falcia vite e il fanatismo brucia speranze. Incontrano attori girovaghi, flagellanti, streghe accusate di portare il male.
Tra questi, una giovane coppia di comici, Jof e Mia, con il loro bambino: semplici, innocenti, ancora capaci di stupirsi di un tramonto o di un bicchiere di latte fresco. Antonius li osserva e, per un istante, sente un barlume di pace — come se la vita potesse ancora essere buona, nonostante tutto.
Ma la Morte continua a seguirlo, sempre dietro di lui, sempre un passo avanti.
Il cavaliere tenta di bararla, di distrarla, di guadagnare tempo. Eppure, sa che non potrà vincere. Nessuno vince mai davvero contro la Morte.
Alla fine, in un castello isolato, durante una tempesta, la partita giunge al termine.
Antonius perde.
La Morte li raggiunge — lui, il suo scudiero, e gli altri compagni di viaggio.
Ma altrove, in una collina bagnata di luce, i giullari Jof e Mia si allontanano, salvi, con il loro bambino. Jof crede di vedere in lontananza la Morte danzare, mano nella mano, con coloro che ha portato via.
Una danza solenne, lenta, che chiude il cerchio.
E così, il settimo sigillo si spezza — e il silenzio di Dio rimane, vasto e insondabile, mentre la vita continua, fragile ma luminosa.