Daniele Trabucco

Gli studi storico-critici più recenti consentono di leggere il censimento narrato nel Vangelo di Luca (Lc 2,1-7) come elemento di un preciso momento della politica amministrativa augustea. La chiave di volta sta nella presa sul serio del lessico lucano: «In quei giorni un decreto (dogma) di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento (apographḗ) di tutta la terra abitata» (Lc 2,1), seguito dalla precisazione che «questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (Lc 2,2).

Lo stesso evangelista aggiunge che «andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città» (Lc 2,3) e che «anche Giuseppe dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme, perché apparteneva alla casa e famiglia di Davide, per farsi registrare insieme con Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc 2,4-5). Questo quadro si colloca sullo sfondo del grande censimento dell’8 a.C., ricordato da Augusto nelle Res Gestae Divi Augusti – l’iscrizione ufficiale, conservata in modo eminente nel Monumentum Ancyranum, che riassume le sue imprese – come seconda delle tre numerazioni dei cittadini romani ordinate nel corso del principato. In prima istanza si tratta di un conteggio dei cives iscritti nelle tribù; tuttavia esso rappresenta il vertice di una più ampia trasformazione del governo: l’imperatore intende conoscere, classificare, quantificare le risorse umane e materiali su cui si regge il suo potere. Di qui la proliferazione, attestata nelle province, di censimenti rivolti a popolazioni non cittadine, a città “autonome”, a comunità federate. Anche dove lo status giuridico non è quello della provincia, si incontrano operazioni in cui soggetti privi della cittadinanza sono ugualmente sottoposti a registrazione nominativa, stima patrimoniale e definizione degli obblighi fiscali o militari.

Particolare del secondo rilievo dell’Ara di Domizio Enobarbo (scena di censimento e sacrificio, 110 a.C., Parigi, Musée du Louvre) con magistrati intenti a iscrivere i cittadini nelle liste militari e animali. 

L’editto presupposto dal racconto lucano non riguarda soltanto il corpo civico: è un impulso normativo che, partendo dal populus Romanus, si irradia, con intensità e forme diverse, sull’intero spazio sottoposto alla supremazia romana. Il Regno di Giudea, governato dal re Erode il Grande, rientra pienamente in questo assetto. Non è una provincia, bensì un regno “socius et amicus populi Romani”: il sovrano deve il trono alla benevolenza di Roma, è tenuto alla cooperazione militare, non può intraprendere iniziative belliche autonome nelle aree di interesse imperiale e dipende politicamente dal favore del principe. Giuridicamente il territorio è esente dal tributo diretto e conserva margini di autonomia interna; sul piano dell’effettività, tuttavia, è inserito in una rete di vassallaggi in cui il centro romano può imporre condizioni, pretendere garanzie, orchestrare passaggi di status fino alla trasformazione in provincia. In questo quadro, la contrapposizione netta tra «cittadini censibili» e «sudditi di un re indipendente non toccati dal censimento» si rivela artificiosa: un editto censuario emanato dall’imperatore con ambizione universale può estendere la sua efficacia anche ai regni clienti, non tramite funzionari provinciali ma per mezzo degli apparati amministrativi locali.

Il censimento narrato da Luca appare così come l’esecuzione, in territorio giudaico, di un ordine imperiale che nasce per i cittadini, e si traduce in una registrazione delegata all’autorità di Erode, poiché l’intera popolazione soggetta al re risulta, per alleanza e dipendenza, inserita nel sistema romano. La congiuntura politica rafforza ulteriormente questa lettura. Negli anni che precedono la sua morte, Erode compromette il rapporto con Augusto agendo senza autorizzazione in una guerra contro i Nabatei, violando la regola fondamentale che interdice a un sovrano cliente le iniziative militari autonome.

L’episodio suscita la collera dell’imperatore, ne riduce il prestigio, mette in discussione la sua affidabilità e crea un clima di sospetto nei confronti del regno. Una parte della ricerca ha suggerito che questa campagna contro i Nabatei possa aver costituito un ulteriore motivo politico per rendere più stringente il controllo romano sulla Giudea, applicando il programma censuario augusteo anche al regno di Erode: il censimento assumerebbe così, oltre alla funzione amministrativa, il valore di gesto di sottomissione esemplare di Erode e del suo popolo all’ordine imposto dal principe. In questa prospettiva si comprende anche la richiesta di giuramento all’imperatore e al sovrano locale, attestata da una fonte giudaica del I secolo con la resistenza di un gruppo di farisei: si tratta del volto simbolico di un processo nel quale l’insieme della popolazione viene chiamato a riconoscere, in forma personale, il proprio legame di obbedienza. In questo contesto si colloca l’indicazione lucana secondo cui Giuseppe «dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme» (Lc 2,4). L’obiezione moderna secondo cui la Galilea non sarebbe stata toccata dal censimento nasce quando si identifica senz’altro il censimento di Lc 2 con quello, ben attestato, del 6 d.C., relativo alla nuova provincia di Giudea: a quella data, infatti, la Galilea è già tetrarchia di Antipa, distinta dalla Giudea governata da un prefetto romano, e non risulta direttamente coinvolta nel censimento provinciale legato a Quirinio. La ricostruzione che colloca invece il «primo censimento» lucano intorno al 7–6 a.C. lo situa ancora durante il regno indiviso di Erode il Grande, prima della spartizione post mortem: in quella fase la Galilea appartiene allo stesso regno erodiano, rientra nel medesimo spazio politico-amministrativo ed è quindi toccata dalla stessa operazione censuaria. Luca non immagina una sortita arbitraria dalla Galilea verso una provincia straniera, bensì registra il movimento di un suddito di Erode all’interno del regno di Erode, in obbedienza a un ordine imperiale eseguito tramite l’autorità regia. Resta da spiegare perché Giuseppe e Maria, proprio loro, debbano recarsi a Betlemme.

Censimento di Quirinio

Luca fornisce una motivazione chiara: Giuseppe appartiene «alla casa e famiglia di Davide» (Lc 2,4) e per questo si reca «a farsi registrare» nella città di Davide, Betlemme, «insieme con Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc 2,5). Il censimento appare strutturato, nel caso giudaico, su base genealogico-tribale: non ci si limita a registrare le persone nel luogo di residenza, ma le si riconduce alla città di origine della famiglia o del clan. In un territorio caratterizzato da una forte struttura di appartenenze familiari, questo tipo di apographḗ risponde a un interesse politico preciso: mappare le grandi case, le loro basi territoriali, le reti parentali che danno forma alla società. Il fatto che la residenza effettiva di Giuseppe sia Nazaret non contraddice la richiesta di recarsi a Betlemme: il censimento non mira solo a fotografare la distribuzione attuale della popolazione, bensì a collegare persone, patrimoni e genealogie al loro luogo d’origine riconosciuto. Quanto a Maria, Luca osserva che Giuseppe va «a farsi registrare insieme con Maria, sua sposa» (Lc 2,5). Dal punto di vista giuridico-familiare ella appartiene ormai al nucleo di Giuseppe e, in quanto tale, è coinvolta nel suo stesso inquadramento censuario, soprattutto se si considerano eventuali diritti patrimoniali esercitabili in Giudea dalla famiglia del marito.

Dal punto di vista umano, la scena non presenta nulla di implausibile: in stato avanzato di gravidanza, Maria non viene lasciata sola a Nazaret, ma accompagna il marito nel viaggio imposto dal censimento. Alcuni interpreti hanno ipotizzato che anche Maria fosse di stirpe davidica, ipotesi che rafforzerebbe la ragione genealogica del loro spostamento; il testo lucano, tuttavia, insiste sul legame davidico di Giuseppe e questo basta, sul piano narrativo e storico, a spiegare il radicamento della famiglia a Betlemme. Rimane, infine, da chiarire il ruolo dei personaggi che le fonti storiche collocano all’apice dell’amministrazione siriana in quegli anni: il legato Senzio Saturnino e Publio Sulpicio Quirinio. Le fonti attestano che Saturnino governa la Siria tra il 9 e il 6 a.C., mentre Quirinio è legato della stessa provincia nel 6–7 d.C., quando dirige il noto censimento fiscale della nuova provincia di Giudea, istituita dopo la deposizione di Archelao. La difficoltà classica consiste nel conciliare questo dato con l’affermazione lucana che colloca il «primo censimento» in un momento in cui Quirinio sarebbe responsabile della Siria (Lc 2,2), pur dovendosi collocare la nascita di Gesù prima della morte di Erode. Qui intervengono due documenti epigrafici di grande interesse.

Una prima iscrizione, mutila nella parte iniziale e rinvenuta nei pressi di Tivoli, celebra la carriera di un alto funzionario che afferma di essere stato per due volte governatore di Siria. Il nome è perduto, ma la combinazione di elementi biografici e cronologici rende verosimile che si tratti proprio di Quirinio, e mostra comunque che la prassi augustea ammette doppi mandati o incarichi straordinari collegati alla Siria, capaci di sovrapporsi o affiancarsi alla legazione ordinaria. Una seconda iscrizione, proveniente dalla città di Apamea e oggi conservata nel Museo Archeologico nazionale di Venezia, ricorda in modo esplicito un censimento eseguito da Quirinio in quella comunità, caratterizzata da uno status autonomo. Qui il legato imperiale risulta impegnato in una vera apographé di tipo romano in un centro che non è provincia nel senso stretto, ma gode di una particolare posizione giuridica: un caso che mostra come l’impulso censuario augusteo possa oltrepassare i confini formali delle province, coinvolgendo anche città e territori “autonomi” che rientrano comunque nella sfera di influenza romana. Su questo sfondo diventa plausibile un rapporto dinamico fra Saturnino e Quirinio. Durante la fase del grande censimento dell’8 a.C., il legato ordinario di Siria resta Saturnino, responsabile complessivo della provincia e impegnato sul piano militare e diplomatico. Parallelamente, Quirinio può essere investito di una missione speciale nell’area siro-anatolica, con competenze specifiche in materia di censimento e di riassetto dei rapporti politico-fiscali. La gestione tecnica delle operazioni censuarie in alcune zone, comprese le città autonome e i regni clienti limitrofi, ricade così de facto sulla sua persona, pur nel quadro formale della legazione di Saturnino. L’evangelista, che ricerca la figura del referente effettivo della potestas romana in quel frangente, può pertanto riferirsi a Quirinio come al «governatore» della Siria, non nel senso di una precisa qualifica di diritto, ma in quanto volto concreto dell’autorità imperiale percepito nella regione in occasione del censimento. Da queste premesse deriva una proposta cronologica coerente. Il «primo censimento» ricordato nel Vangelo di Luca (Lc 2,1-2) viene collocato attorno al 7–6 a.C., come proiezione locale in Giudea del censimento augusteo dell’8 a.C., nato per i cittadini e di fatto esteso alle popolazioni di un regno cliente in una fase delicata dei rapporti con Roma, sullo sfondo anche dell’errore politico-militare compiuto da Erode nella guerra contro i Nabatei.

L’operazione è amministrata dall’apparato del re, imposta dall’editto imperiale e accompagnata da un giuramento di fedeltà all’imperatore; Saturnino conserva la titolarità della legazione siriana, mentre Quirinio appare come l’uomo incaricato di tradurre in operazioni concrete il programma censuario in quell’area. La nascita di Gesù viene così situata a ridosso di questo complesso di eventi, prima della morte di Erode e sullo sfondo di una grande operazione di numerazione e sottomissione del mondo abitato all’ordine augusteo (Lc 2,6-7). L’evangelista che, nel prologo, rivendica di essersi «accuratamente informato su ogni cosa fin dagli inizi» per scriverne «in ordine» (Lc 1,3), non risulta smentito dalla ricerca storica: il suo racconto, pur teologicamente orientato, si mostra compatibile con ciò che è possibile ricostruire delle strutture giuridiche, delle prassi amministrative e delle concrete condizioni di vita del tempo. La storia, in questo caso, non corregge Luca dall’esterno, ma conferma che quell’indagine diligente ha lasciato traccia in una narrazione che, nel riferire l’evento salvifico, non tradisce la concretezza del suo contesto.

Daniele Trabucco