Una stanza immersa nella penombra di Buckingham Palace. Le candele tremolano. Sir William Gull, in abito scuro, si rivolge a un interlocutore invisibile — forse al Principe*, forse alla stessa Regina, o forse solo alla propria coscienza.)
SIR WILLIAM GULL:
La malattia non è soltanto del corpo, Maestà.
È dell’Impero.
Scorre come una febbre nei vicoli di Whitechapel, infetta i suoi figli, ne corrompe il sangue, ne offusca l’onore.

Mi avete chiamato perché sono medico, sì.
Ma io curo non con la parola, bensì con il ferro.
Il bisturi purifica ciò che la pietà non osa toccare.
Voi, Altezza, siete il sangue del Regno.
E quel sangue — sacro, fragile, millenario — non deve mescolarsi con il fango.
Un principe non può amare una mendicante, non può generare eredi bastardi che portino il nome dei Whitaker o degli Smith.
L’ordine divino si spezzerebbe.
E l’Impero, quell’enorme corpo che voi incarnate, comincerebbe a marcire dalla sua ferita più piccola.
Non è crudeltà, la mia.
È chirurgia.
C’è differenza tra un assassino e un medico che opera nell’ombra per salvare la Corona.
Le mie mani tremano, sì, ma non per colpa.
Tremano per la precisione del dovere.
La gente dirà “Jack lo Squartatore”…
Lasciateli dire.
Un nome serve a distogliere gli occhi dal vero volto dell’operazione.
Dietro ogni urlo nel buio, c’è un segreto che resta intatto.
Dietro ogni cadavere, una verità che non sarà mai pronunciata nei saloni di corte.
(Si ferma, inspira profondamente, come se parlasse ora direttamente alla Regina.)
Maestà… il Regno dormirà tranquillo stanotte.
Le ombre di Whitechapel non minacceranno più il trono.
Ho fatto ciò che Voi non potevate ordinare, ciò che nessuno deve sapere.
E se un giorno mi chiameranno mostro,
sappiate che il mio mostro porta la Vostra corona sul capo.
(Silenzio. Gull posa il bisturi su un vassoio d’argento, si inchina lentamente, e scompare tra le tenebre.)
*Alberto Vittorio, duca di Clarence, primogenito di Edoardo principe di Galles (poi re Edoardo VII)