Ci sono santi che attraversano i secoli in silenzio, come orme lievi nella sabbia del tempo. E poi c’è San Nicola di Myra, il vescovo che la tradizione ci consegna come un uomo ardente, inflessibile nella fede, capace di infinita misericordia ma anche di collera sacra quando l’integrità del Cristianesimo era minacciata. Una figura reale, storicamente attestata nel IV secolo, attorniata da un’aura leggendaria che non ha mai smesso di affascinare.

Il vescovo realmente esistito

Nicola nacque a Patara, in Licia (attuale Turchia), probabilmente tra il 260 e il 270 d.C. Le fonti antiche concordano sull’essenziale: fu vescovo di Myra, partecipò al Primo Concilio di Nicea (325) o comunque ne condivise il clima combattivo, e divenne celebre per la sua generosità verso i poveri. La sua biografia è un intreccio armonioso di storia e tradizione, tanto che il suo culto divenne uno dei più diffusi d’Oriente e d’Occidente. Le sue reliquie, trafugate a Bari nel 1087, contribuirono alla nascita del mito del santo “protettore dei naviganti, dei bambini, dei condannati”.

Lo schiaffo ad Ario: mito o verità?

La scena che da secoli circola nelle catechesi, nei racconti popolari e nelle icone è vivida: durante le discussioni infuocate del Concilio di Nicea, il vescovo Nicola, esasperato dalle posizioni di Ario — che negava la piena divinità di Cristo — avrebbe perso la pazienza e gli avrebbe assestato un sonoro schiaffo.

Non esistono resoconti coevi che lo confermino, ma fonti agiografiche successive lo narrano come episodio paradigmatico: Nicola è il santo che non difende la dottrina solo con parole, ma con un gesto che oggi chiameremmo “viscerale”, quasi profetico. Lo schiaffo diventa così simbolo: non della violenza, ma dell’incompatibilità assoluta tra la menzogna e la Verità incarnata.

Quanto alla morte “sbudellato”, appartiene invece alla tradizione orale medievale, che spesso arricchiva le vite dei santi con martirî immaginati per accrescerne il prestigio spirituale. Storicamente, Nicola morì pacificamente, molto venerato dal suo popolo.

Giovanni Gasparro: la pittura come agone teologico

Il dipinto che accompagna questa storia è opera di Giovanni Gasparro, uno dei più raffinati pittori italiani contemporanei, noto per il suo stile barocco, quasi caravaggesco, e per la sua capacità di tradurre in immagini la tensione spirituale che anima la storia della Chiesa.

Gasparro non dipinge un semplice episodio: mette in scena un dramma teologico. Lo sguardo furioso di Ario, la mano di Nicola che si apre come un sigillo di giudizio, i tessuti ortodossi che si increspano come onde durante una tempesta conciliare: tutto converge in un’unica idea, quella di un Cristianesimo che nasce da battaglie interiori e pubbliche, da uomini che hanno “osato” la verità.

Il quadro non è solo estetica, ma teologia visiva.

Un santo che continua a interrogarci

San Nicola rimane una figura sorprendentemente moderna. Uomo di carità radicale, ma anche di coraggio dottrinale; pastore vicino ai poveri, ma pronto a sfidare i poteri terreni; santo dolcissimo nel cuore, ma capace di quella severità che nasce dall’amore per Cristo.

La sua leggenda vive ancora perché non parla solo del passato, ma di ciò che ogni epoca chiede alla Chiesa: dolcezza e fermezza, compassione e verità, unite nello stesso uomo, nella stessa mano che sa accarezzare i bambini e respingere l’errore.

L.T.