Eliogabalo (Marco Aurelio Antonino), salito al trono nel 218 d.C. giovanissimo e sostenuto dalle legioni orientali, rappresenta una delle figure più controverse dell’impero romano. Proveniente da Emesa, in Siria, era sommo sacerdote del dio solare locale Elagabal, che a Roma identificò e impose come Sol Invictus. Nel suo progetto religioso, Eliogabalo tentò una rivoluzione senza precedenti: sostituire Giove come vertice del pantheon, trasferendo sul Palatino la sacra pietra nera del dio e celebrandone il culto con rituali estranei alla tradizione romana. In un gesto che scandalizzò profondamente la città, arrivò persino a sposare una vergine vestale, atto sacrilego giustificato dall’imperatore come un matrimonio simbolico tra il suo dio e Vesta, a suggello della nuova religione di Stato.
Accanto alla rottura religiosa, la figura di Eliogabalo fu segnata da una sessualità ostentatamente non conforme alle norme romane: ebbe cinque mogli e due mariti, sfidando apertamente il mos maiorum e alimentando l’ostilità del Senato e del popolo. Le fonti antiche lo descrivono come un sovrano che si identificava con la propria divinità, adottando il nome stesso del dio per esibirne il potere e la centralità, in una commistione radicale tra sacro e politico. Questa combinazione di fanatismo religioso, provocazione morale e isolamento politico condusse rapidamente alla sua caduta: l’11 marzo 222 d.C. fu assassinato dalla guardia pretoriana e colpito da damnatio memoriae, mentre il potere passò al cugino Alessandro Severo, che restaurò l’equilibrio tradizionale. La memoria di Eliogabalo restò così legata, per secoli, all’immagine di un imperatore “depravato” e sacrilego, simbolo di quanto potesse risultare destabilizzante l’imposizione artificiale di un culto solare universale in una Roma ancora profondamente legata ai suoi dèi antichi.
La vita privata di Eliogabalo fu uno degli elementi che più contribuirono allo scandalo e all’ostilità nei suoi confronti, perché egli rese pubblica e politica una dimensione che, pur non estranea alla cultura romana, restava normalmente confinata alla sfera privata. Tra i suoi amanti, il più influente fu Ierocle, originario della Caria, che l’imperatore conobbe quando questi era ancora uno schiavo e auriga. Eliogabalo se ne innamorò profondamente, al punto da assumere deliberatamente un ruolo passivo nel rapporto, cosa che le fonti antiche sottolineano con tono scandalizzato. Celebre è l’esclamazione attribuitagli da storici ostili, in cui dichiarava di provare piacere nell’essere chiamato “donna, moglie e regina di Ierocle”. Non si trattava solo di provocazione sessuale: Eliogabalo sposò Ierocle e tentò addirittura di farlo proclamare Cesare, cioè suo successore designato, un progetto che incontrò l’opposizione ferma del Senato e dell’apparato imperiale.
Eliogabalo aveva due amanti: Ierocle e Zotico. (quest’ultimo reso impotente da una pozione velenosa datagli dal rivale)
Il potere di Ierocle a corte dipendeva interamente dal favore dell’imperatore, e per questo egli cercò di eliminare ogni possibile rivale. Un episodio emblematico riguarda Zotico, un atleta di grande fama di cui Eliogabalo si invaghì e che fece venire appositamente a Roma. Temendo di essere sostituito, Ierocle orchestrò un intrigo: convinse un coppiere a drogare il vino destinato a Zotico, in modo da renderlo incapace di soddisfare l’imperatore. Deluso e irritato, Eliogabalo allontanò l’atleta, e Ierocle mantenne così la sua posizione di favorito. Questi episodi, riportati con toni sensazionalistici dalle fonti senatoriali, contribuirono a costruire l’immagine di un imperatore dominato dalle passioni, pronto a sovvertire ruoli di genere, gerarchie politiche e costumi tradizionali. Più che la semplice omosessualità, a risultare intollerabile per Roma fu il fatto che Eliogabalo rivendicasse apertamente una identità “altra”, femminile e sacrale insieme, intrecciando eros, potere e religione in modo radicale e destabilizzante.

Le rose di Eliogabalo. Dipinto di Lewis Alma tadema. La figura di Eliogabalo e il culto del Sol Invictus appartengono a una delle stagioni più complesse e fraintese della religiosità tardo-romana, in cui Oriente e Occidente, politica e sacro, tradizione e sperimentazione si intrecciano in modo esplosivo.
Elagabal, il dio che viveva nella pietra
All’origine del Sol Invictus non c’è Roma, ma la Siria romana. In particolare, a Emesa (l’odierna Homs) era venerata una divinità solare chiamata Ilah al-Jabal (“Dio della Montagna”), latinizzata in Elagabal. Non si trattava di un dio antropomorfo, ma di una pietra nera sacra, probabilmente un meteorite, considerata la dimora viva della divinità. Questo tipo di culto aniconico è tipico del Vicino Oriente antico e precede di secoli l’epoca romana.
La famiglia sacerdotale che custodiva il culto di Elagabal era potentissima a livello locale. Da essa proveniva il giovane Vario Avito Bassiano, che una volta salito al trono imperiale nel 218 assunse il nome di Eliogabalo, segno di una identificazione diretta tra imperatore, sacerdote e dio.
L’esperimento fallito a Roma
Giunto a Roma, Eliogabalo fece qualcosa di inaudito: trasportò fisicamente la pietra sacra da Emesa al Palatino e vi costruì un tempio, l’Elagabalium. Tentò di imporre Elagabal come divinità solare suprema, superiore a Giove stesso, ribattezzandolo in forma più “romana” Sol Invictus Elagabal.
Questo tentativo fu percepito come un trauma culturale. Roma era abituata a integrare divinità straniere, ma non ad accettare che un dio orientale, privo di immagine, imposto dall’alto e legato a un giovane imperatore scandaloso, diventasse il centro del pantheon. Alla caduta violenta di Eliogabalo nel 222 seguì una damnatio memoriae totale: il tempio fu smantellato, la pietra rispedita in Siria, il culto abolito.

Aureliano e la costruzione del Sol Invictus romano
È solo con Aureliano che il Sol Invictus rinasce, ma in una forma completamente diversa. Aureliano non recupera Elagabal in senso stretto: costruisce un culto solare statale, depurato dagli elementi troppo orientali, pensato come strumento di unità imperiale in un’epoca di crisi.
Il Sol Invictus di Aureliano è:
- universale
- astratto
- invincibile
- garante dell’ordine cosmico e politico
Nel 274 d.C. l’imperatore istituisce ufficialmente il Dies Natalis Solis Invicti il 25 dicembre, data simbolica legata al ritorno della luce dopo il solstizio d’inverno. Qui il culto non nasce spontaneamente: è una costruzione politica e religiosa consapevole, funzionale alla restaurazione dell’Impero.
Sol Invictus e Natale: una questione complessa
È a questo punto che si inserisce il dibattito sul rapporto tra Sol Invictus e Natale cristiano. Dire che il Natale sia “costruito” sul Sol Invictus in modo meccanico è una semplificazione, ma è vero che la data del 25 dicembre emerge in un contesto già carico di simbolismo solare.
sono immagini condivise. Il cristianesimo, affermandosi, non copia semplicemente il culto solare, ma lo rilegge e lo rovescia: Cristo non è un astro creato, ma il Sol iustitiae, la Luce vera che entra nella storia. La coincidenza della data è dunque meno una “imitazione” e più una sovrapposizione simbolica, tipica dei processi di trasformazione religiosa.
Il Sol Invictus non nasce come antica tradizione romana immutabile, ma come sintesi artificiale e politica di elementi orientali, filosofici e imperiali. Eliogabalo, eccentrico e megalomane, rappresenta il tentativo fallito di imporre brutalmente un dio straniero a Roma; Aureliano, invece, riesce a creare un culto solare compatibile con l’ideologia imperiale.
Liliane Tami