Brigitte Bardot è stata molto più di un’icona del cinema. Negli anni Cinquanta e Sessanta incarnò una bellezza nuova, libera e dirompente, capace di cambiare per sempre l’immaginario femminile europeo. Figlia di un industriale parigino, cresciuta in un ambiente borghese e colto, divenne in pochi anni il simbolo stesso della nouvelle vague popolare: sensuale, indipendente, istintiva. Tre matrimoni, amori celebri, una vita di lusso e riflettori: Bardot sembrava destinata a restare per sempre prigioniera del mito che lei stessa aveva creato.

E invece, contro ogni aspettativa, scelse di rompere con tutto. Già all’inizio degli anni Sessanta, quando il benessere economico occidentale rendeva invisibile la sofferenza animale dietro il consumo di massa, Bardot denunciò pubblicamente la crudeltà dei macelli, scandalizzando un’opinione pubblica ancora impreparata. La sua apparizione televisiva del 1962, in cui parlò apertamente delle condizioni degli animali destinati alla macellazione, fu un gesto radicale e isolato, soprattutto per una donna che avrebbe potuto limitarsi a vivere di fama e privilegi.

La svolta definitiva arrivò nel 1973, durante le riprese di Colinot l’alzasottane. Il salvataggio di una capra destinata a essere uccisa sul set divenne per Bardot un punto di non ritorno. Abbandonò il cinema a soli 39 anni, nel pieno del successo, e si ritirò a Saint-Tropez, nella villa La Madrague, trasformando la propria esistenza in una forma di militanza etica. Da allora visse circondata da animali salvati, lontana dai clamori mondani, vestita di nero, con lo chignon severo di chi ha scelto una battaglia invece di un palcoscenico.

Il suo impegno non fu mai tiepido. Bardot scelse lo scontro diretto con governi, industrie e lobby, partecipando a campagne internazionali contro la caccia alle foche in Canada, contro la sperimentazione animale, contro gli allevamenti intensivi. La sua immagine inginocchiata sul ghiaccio, accanto ai cuccioli di foca, fece il giro del mondo e contribuì a creare una pressione morale globale che, negli anni, portò a limitazioni e divieti concreti.

Nel 1986 fondò la Fondazione Brigitte Bardot, finanziandola con la vendita dei suoi beni personali: gioielli, opere d’arte, ricordi di una vita di lusso che non le apparteneva più. Oggi la Fondazione opera in decine di Paesi, con centinaia di dipendenti e migliaia di animali salvati, ed è una delle realtà più influenti al mondo nella tutela animale. Bardot sostenne apertamente anche organizzazioni radicali come Sea Shepherd, condividendone l’approccio diretto e senza compromessi.

Figura complessa e spesso controversa, Bardot non nascose mai le proprie posizioni politiche. In Francia espresse simpatie per il Front National, unendo un ecologismo radicale a una visione identitaria che le attirò critiche feroci. Ma anche qui, come in tutta la sua vita, rifiutò di addolcire il pensiero per piacere agli altri. Bardot non cercò consenso: cercò coerenza.

Donna bellissima e profondamente sensibile, Brigitte Bardot resta un’icona non addomesticabile. La sua parabola — dalla sensualità celebrata dal cinema alla solitudine scelta per difendere chi non ha voce — racconta una rara forma di libertà: quella di chi rinuncia al successo per obbedire alla propria coscienza. In un mondo che spesso separa estetica ed etica, Bardot ha dimostrato che la bellezza più duratura è quella che si mette al servizio della compassione.