Accordo UE–Mercosur. È un trattato commerciale negoziato tra l’Unione Europea e il Mercosur, il blocco sudamericano che comprende Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay (con la Bolivia in fase di adesione).

Questo accordo vuole facilitare gli scambi di materie prime tra sud america ed Europa…. e con la grisi agricola l’europa dovrà comprare carni e beni primari dal sud america.

L’intesa, negoziata per oltre vent’anni e oggi vicina alla ratifica, mira a creare una delle più grandi aree di libero scambio al mondo. Prevede l’abbattimento progressivo dei dazi doganali su una vasta gamma di prodotti industriali e agricoli, facilitando l’accesso reciproco ai mercati. Per l’UE significa esportare automobili, macchinari e servizi; per il Mercosur significa esportare soprattutto carne bovina, pollame, zucchero, soia e prodotti agricoli.

Per gli allevatori e agricoltori europei l’accordo rappresenta una minaccia diretta alla sopravvivenza economica. I Paesi del Mercosur producono carne e derrate agricole a costi molto più bassi, grazie a standard ambientali, sanitari e sul lavoro meno stringenti rispetto a quelli europei. Questo crea una concorrenza asimmetrica: agli agricoltori UE si chiede di rispettare norme severe su benessere animale, pesticidi, emissioni e tracciabilità, mentre sul mercato arriverebbero prodotti che non rispondono agli stessi criteri.

Il risultato temuto è una pressione al ribasso sui prezzi, che riduce ulteriormente margini già minimi e spinge molte aziende agricole verso la chiusura. Da qui la percezione che emergenze sanitarie come la dermatite nodulare vengano gestite in modo rigido anche perché, riducendo la produzione interna, si rende più “accettabile” l’ingresso di importazioni estere.

Il nodo della sovranità

Sul piano politico, l’accordo UE–Mercosur è criticato perché viene percepito come un ulteriore trasferimento di sovranità dalle nazioni agli organismi sovranazionali. Le politiche agricole, ambientali e alimentari — settori strategici per qualsiasi Stato — verrebbero di fatto subordinate a logiche di libero scambio decise a Bruxelles, con scarso margine di intervento per i governi nazionali.

Molti osservatori parlano di una perdita di sovranità alimentare: se un Paese non è più in grado di sostenere la propria produzione agricola, diventa dipendente dalle importazioni estere per beni essenziali come carne e cereali. In un contesto di crisi geopolitiche e instabilità globale, questa dipendenza è vista come un rischio strategico.

Una frattura sempre più evidente

L’accordo UE–Mercosur è dunque al centro di una frattura profonda tra istituzioni europee e mondo agricolo. Da un lato, Bruxelles lo presenta come un’opportunità economica e geopolitica; dall’altro, allevatori e agricoltori lo vivono come l’ennesimo sacrificio imposto a nome della globalizzazione, a vantaggio di grandi gruppi industriali e finanziari.

È in questo contesto che la rabbia nelle campagne cresce: non solo per una malattia bovina o per gli abbattimenti, ma per la sensazione diffusa che l’agricoltura europea venga progressivamente smantellata, pezzo dopo pezzo, in nome di accordi commerciali che riducono l’autonomia delle nazioni e la dignità di chi lavora la terra.

L’epidemia di dermatite nodulare contagiosa che ha colpito i bovini nel sud della Francia — 111 focolai tra fine giugno e metà dicembre — ha rapidamente oltrepassato il perimetro sanitario per diventare un caso politico. Mentre il governo assicura che la situazione sia sotto controllo, cresce la frustrazione degli allevatori, già provati da costi in aumento, burocrazia stringente e margini sempre più ridotti.

La malattia, come spiegato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare, è trasmessa da insetti ematofagi (mosche, zanzare, zecche), provoca febbre e noduli cutanei e può essere grave per gli animali non immunizzati. Non è pericolosa per l’uomo. Le misure standard di contenimento prevedono vaccinazioni e, nei casi ritenuti necessari dalle autorità veterinarie, abbattimenti selettivi dei capi infetti.

È proprio su quest’ultimo punto che si concentra la contestazione. Per molti allevatori, l’abbattimento di animali sani o recuperabili appare sproporzionato rispetto a una patologia che non presenta rischi per la salute pubblica. A loro avviso, la gestione dell’emergenza avrebbe privilegiato un approccio drastico senza adeguata compensazione economica, aggravando una crisi già in atto nelle campagne.

Il governo, attraverso la ministra dell’Agricoltura Annie Genevard, respinge le accuse e parla di ansia comprensibile ma infondata, ribadendo l’avvio di campagne vaccinali e di un dialogo con il settore. Le visite sul territorio — come quella annunciata a Tolosa — mirano a rassicurare e a coordinare le operazioni sanitarie.

Nel mondo agricolo, però, circolano critiche più ampie che vanno oltre la singola malattia. Alcuni rappresentanti del settore sostengono — senza che vi siano prove ufficiali — che l’emergenza venga strumentalizzata per ridurre il patrimonio zootecnico europeo e agevolare scambi commerciali internazionali, in particolare con il Sud America. Si tratta di accuse politiche che il governo nega, ma che riflettono un clima di sfiducia profonda verso le istituzioni.

Questa sfiducia nasce da un contesto strutturale difficile: prezzi di produzione elevati, normative ambientali complesse, ritardi nei ristori e una concorrenza internazionale percepita come asimmetrica. In tale scenario, ogni emergenza sanitaria rischia di essere letta come l’ennesimo colpo a un comparto già sotto pressione.

Il caso della dermatite nodulare mostra dunque una frattura che va ricomposta. Da un lato, la necessità di tutelare la salute animale con strumenti efficaci e basati su evidenze scientifiche; dall’altro, l’urgenza di coinvolgere gli allevatori, garantire proporzionalità nelle misure e sostegni economici rapidi. Senza questo equilibrio, anche una malattia non pericolosa per l’uomo può diventare la scintilla di una crisi sociale ed economica più ampia nelle campagne francesi.