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Secondo gli ultimi dati pubblicati vi é stato un importante aumento del numero di frontalieri, ora a quota 51’155, soprattutto nell’ambito del settore terziario, cioé quello che maggiormente interessa i lavoratori ticinesi. In questo settore nell’arco di un anno l’aumento é stato di ben 2115 unità raggiungendo la quota di ben 27’110 frontalieri.
La pubblicazione in questione ha messo ulteriormente l’accento su un problema che, nel nostro cantone, é vissuto sempre più malamente dai cittadini. E per forza! Quando si ricevono queste statistiche e si é a conoscenza di un numero impressionante di giovani alla ricerca di un posto di lavoro, il sentimento non può essere tanto differente.
E le prospettive future non sono di quelle buone. Da una parte c’é una sinistra che si interstardisce sul salario minimo pensando che questa sia la soluzione di tutti i problemi, ma dall’altra parte i partiti borghesi storici sembrano non prendere troppo sul serio la questione che si é aggravata in seguito ai tagli alla disoccupazione e all’aumento del numero dei frontalieri.
Salvo poi scimmiottare Lega e UDC su alcuni temi unicamente nei mesi che precedono le elezioni.

Le proposta più importante e che ha scaldato la campagna elettorale dell’elezioni cantonale e che scalderà anche quelle federali é sicuramente quella sul contingentamento dei frontalieri.
Una proposta che credo sia condivisa in larga scala e che ha anche in parte contribuito al successo elettorale dello scorso aprile e che sono convinto i Ticinesi desiderano sia uno dei punti ondamentali nella quale intervenire al più presto.

Vi é poi la questione sul salario minimo della quale condivido l’idea di fondo. Sono convinto sia giusto ci sia un salario minimo che garantisca dignità ai lavoratori e dia un incentivo al consumo. Ma non cosi come proposto dai sindacati, cioé un salario minimo legale per tutti (residenti e non) di 4’000 franchi al mese, comunque pochi per uno svizzero con una formazione, ma troppi per la stessa sopravvivenza dell’industria ticinese.
Per essere corretto, il salario minimo, dovrebbe poter essere fissato nei diversi cantoni in base al costo della vita e in base alla residenza del lavoratore.

Per farla breve é evidente che per un frontaliero il salario minimo che gli permetta di poter lavorare e non rientrare nella categoria dei Working poor non sia lo stesso di quello di un residente.
Questo tipo di minimo salariale unito al contingentamento del numero di frontalieri permetterebbe di sostenere l’economia ticinese facendo i giusti distingui nelle diverse realtà.
Le aziende esportatrici che oggi sono in difficoltà a causa della rafforzamento del franco svizzero riuscirebbero così a contrattare gli stipendi in base all’andamento dell’euro e a mantenere il margine di guadagno ottenuto dalle vendite che oggi a causa del franco forte si é azzerato.

Occorre però sottolineare che senza il contingentamento e senza dare la priorità ai lavoratori ticinesi il salario minimo non farebbe altro che causare danni alla nostra economia mettendo in difficoltà sia le PMI ticinesi e sia la nostra occupazione accentuando sempre più la discriminazione tra il lavoratore ticinese e quello frontaliere (a discapito del ticinese), diventando se già come ora non bastasse sempre più attraenti per la manodopera frontaliera.
E’ vero che la natura stessa del successo della realtà industriale é dovuto in parte grazie al fatto di poter attingere a un numero importante di lavoratori frontalieri a basso costo rispetto quello di un lavoratore residente.
Questo sistema deve però essere equilibrato al fine da non contaminare anche i settori (il terziario) in cui vi é al contrario molta offerta di manodopera locale e non mettere così in seria difficoltà i ticinesi nella ricerca di un posto di lavoro.
Sì quindi, in primo luogo, al contingentamento dei frontalieri come proposto da UDC e Lega e Sì pure a un salario minimo diversificato!

Rodolfo Pulino