Il titolo Erro ergo sum è di per sé un’opera compiuta.

Innanzi tutto ci descrive un metodo di lavoro basato sull’errore o meglio sull’errare.

Inteso con un duplice significato: sbagliare e vagabondare.

È solo dall’errare che si può trarre un pensiero fattivo ma allo stesso tempo è l’errare che permette al pensiero di inerpicarsi sulle vie di un percorso zigzagante senza una meta prefissata.

Non a caso Renzaglia attribuisce alla stanzialità l’inizio di una decadenza mortifera. Lo fa con una metafora illuminante: “Poi qualcuno piantò un seme e non si mosse più. La terra pretese veglia, irrigazione, recinti”. La morte dell’otium vagabondo e l’inizio del lavoro immobile.

Poi, utilizzando questo metodo, ci indica un percorso che ruota attorno ad un’unica domanda: “Perché tutto questo, anziché il nulla?”.

Sovvertendo il senso del cartesiano Cogito ergo sum, supera il dualismo che è alla base del pensare statico (stanziale).

È nella molteplicità che va indagato il senso, se un senso ci può essere.

Inquadra il problema dell’Essere affiancandogli l’esserci, smobilitando, con una sola frase, il suo senso di fissità inattaccabile, posizionandolo nel flusso del divenire.

Sbaglierebbe però chi pensasse che questo sia un attacco frontale alla dualità, Renzaglia attua una più raffinata strategia: relativizza il duale rendendolo solo una possibilità del molteplice.

Come l’anello di Moebius. Quella figura a striscia ha una peculiarità: fissando con un dito un punto sulla sua superficie, possiamo riconoscerne un interno ed un esterno, ma se facciamo scorrere il dito lungo la sua superficie l’interno e l’esterno non sono più distinguibili, l’uno scivola nell’altro.

L’essere, se immerso nello scorrere del divenire, scolora nella molteplicità e nel principio di indeterminazione.

Nessuna risposta ci sarà dispensata. Merito del testo risvegliare quella parte assopita che giace sotto la nostra abitudine a pensare per schemi fissi.

Il testo è giocato tra l’aforisma, la prosa breve e la poesia per certificare che, laddove non può la prosa breve e dove anche l’aforisma non trova più parole, c’è la poesia che ci può fare da guida sempre se, come ci ammonisce l’autore, scordiamo il suo significato e ne riscopriamo il senso, inteso come l’impatto dei versi sui sensi: suono, ritmo, immagini, respiro.

“Niente metafisica: ma corpo, materia, azione, opera. […] La parafrasi evapora; il senso resta attivo nella carne”.

Un testo di cupo ottimismo che ci dice che l’importante è la fisica non la metafisica.

Mario Grossi

Frascati, 22 dicembre 2025