Da soldato divenne console. Da console divenne dittatore. Generale, scrittore, entrò nella storia come un dio, restando per sempre in quel Pantheon riservato ai pochi eletti.

idi cesare morte

Pochi sanno il giorno in cui nacque quel patrizio dallo sguardo fulmineo e dal braccio sempre teso, a comandare.

Tutti però ricordano il terribile giorno, le Idi di Marzo, in cui fu assassinato, entrando in Senato, ed il suo braccio, atto a comandare eserciti e popoli, cadde riverso sul marmo arrossato dal suo stesso sangue.

Forse perché è la morte che sancisce l’ingresso nell’eternità. Forse perché, diventando divus, divenne un simbolo universale, per la politica, per la letteratura, per il teatro, per la psicologia.

E’ difficile immaginare un personaggio altrettanto d’impatto storiografico. Quando si pensa a Roma antica, Giulio Cesare è il primo nome che viene in mente, assieme a quello del nipote Augusto.

Ci aveva visto bene, dopotutto, quel generale ormai attempato, che si era proclamato dictator a vita (carica straordinaria che la Res Publica prevedeva conferita solo per sei mesi) a nominare suo erede il figlio della sorella Azia, l’erede maschio che non aveva avuto. Ottaviano Augusto.

Se il progetto di Cesare fu stroncato da ventitré pugnalate inflitte dai suoi fedelissimi, traditori, si può tuttavia dire che esso continuò nelle auree mani del giovane erede, che dal padre, aveva appreso la fermezza e un sogno, chiamato Roma.

Quella Roma che lo stesso Cesare aveva glorificato, forse monopolizzato, eppure resa eccelsa, al tramonto della Repubblica, al tramonto di un’epopea politica. Una vita, mille guerre.

Vissuto sopra le fiamme che ardevano Roma, dilaniata dalle guerre civili, (dalla guerra sociale, a Silla e Mario, a Catilina, a Clodio e Milone, a Cesare stesso, contro Pompeo) sino allo spegnersi di queste (sarebbero poi ricominciate, ma sarebbe toccato all’erede Ottaviano spegnerle, (e Augusto ci sarebbe riuscito, egregiamente)), dalla carriera militare a quella corona, offertagli da Antonio, che rifiutò tre volte, sino alle ultime parole, pronunciate in greco, “Kai su teknon?” (“tu quoque, Brute, fili mi!”) ma che potrebbero essere addirittura una profezia, se intese “kai su apotneskeis” ovvero “anche tu morirai”). Filippi avrebbe reso giustizia.

Personaggio emblematico, conoscente del congiuratore Catilina da giovane (forse a conoscenza della Congiura del 64 a C, ma in ogni caso, non partecipe), amico e non amico del sempre presente Cicerone, spietato conquistatore delle tribù galliche, generoso politico per i cittadini romani, amato e odiato, ma rispettato da quello che sarebbe divenuto l’Impero, letterato, schietto e dinamico come la sua prosa diretta, entrò nel mito della storiografia sia dei seguaci che dei detrattori. Dalla provvidenzialistica visione Dantesca al Rinascimento pro monarchico o repubblicano, all’introspezione Shakespeariana, all’anti-tirannica visione di Alfieri, personaggio e persona immortale, proprio perché quei limiti mortali li seppe valicare, con la sua sola, stessa personalità.

Chantal Fantuzzi