L’anno scorso, al termine del vertice sul clima di Copenhagen, i paesi ricchi avevano promesso di spendere 10 miliardi di dollari all’anno a favore del clima (100 miliardi all’anno dal 2020 in poi).
Manca un giorno alla conclusione del summit sul clima di Cancun, in Messico, un vertice che dallo scorso 29 novembre riunisce i grandi inquinatori del pianeta attorno a un tavolo per sciorinare la solita storia di cifre, percentuali, previsioni e promesse. Manca un giorno solo e ancora la bozza finale del vertice non menziona nulla riguardo a queste cifre: né se confermarle né se lasciar perdere e optare per un forse più realistico prelievo del 1.5% dal Pil delle nazioni industrializzate.

Secondo l’economista malese Martin Khor, le cifre da considerare sarebbero ben altre. Per cambiare davvero la situazione ci vorrebbero ogni anno 565 miliardi per la mitigazione del clima, 630 per l’adattamento climatico, 505 per il trasferimento tecnologico e 600 per il saldo del debito climatico. Per un totale di 2’300 miliardi di dollari all’anno.
Riguardo alla voce “saldo del debito climatico”, Khor spiega che per raggiungere un risultato giusto ed equanime va risarcita anche la responsabilità storica del cambiamento climatico, visto che il CO2 sopravvive nell’atmosfera un secolo e oltre.

La cifra di 2’300 miliardi l’anno è comunque utopia, dato che limitandosi alla piccola realtà di Cancun si vede come sia difficile far giocare cifre ben minori.
«Dobbiamo ancora trovare il modo di mobilitare quei 100 miliardi all’anno promessi – ha detto ieri il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon nel presentare il rapporto che ha commissionato. Un rapporto che suggerisce di tassare le emissioni-serra di aerei e navi per ottenere parte dei fondi necessari. Un’altra idea sarebbe quella di fare capo alla tassa sulle transazioni finanziarie proposta da Nicolas Sarkozy e di usarla in larga parte per la finanza climatica. Ma questa è un’idea che verrebbe sicuramente bocciata dalla potente lobby di Wall Street.

L’impresa è comunque monumentale. «Il nodo sta nel prezzo del carbonio – è il parere di Jens Stoltenberg, primo ministro norvegese – Il Protocollo di Kyoto langue, insieme al prezzo dei diritti a emettere una tonnellata di carbonio. Sul mercato si aggira sui 14 euro. Per dare i suoi frutti, dovrà arrivare almeno a 35 euro, perché non si tratta solo di aiutare i paesi emergenti ad alimentare la crescita economica con energie rinnovabili che non compromettano l’ambiente, ma anche di incentivare la riduzione delle emissioni nei paesi ricchi».