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Blocco della metà del ristorno all’Italia della quota dell’imposta alla fonte dei frontalieri. Circa 26 milioni di franchi che lo scorso 30 giugno il Consiglio di Stato ticinese ha bloccato su un conto vincolato presso la Banca dello Stato. I fondi saranno sbloccati se l’Italia toglierà la Svizzera dalla sua lista nera dei paradisi fiscali.

Le amministrazioni della Lombardia non hanno perso tempo ad accusare il nostro governo di furto e violazione dell’accordo che esiste con l’Italia relativo all’imposizione dei frontalieri e alla compensazione finanziaria per i comuni italiani di confine. Non sono mancate – da parte di esponenti di queste amministrazioni – minacce di ritorsioni “forti, anzi molto forti” nei confronti del nostro cantone.
Ai molti comuni di frontiera il Ticino versa ogni anno e puntualmente il 38.8% del gettito fiscale generato dall’imposizione dei lavoratori frontalieri. Decine di milioni ai quali questi comuni non possono rinunciare. Il blocco di ben 26 milioni di franchi ha creato evidente scompiglio, anche perché il governo italiano non prevede alcun fondo finanziario d’emergenza per far fronte a situazioni come questa.

E proprio riguardo al governo italiano, sul Corriere del Ticino di oggi Fabio Pontiggia solleva un’interessante questione: “Alcuni amministratori locali lombardi – scrive – hanno affermato che Roma non riversa integralmente ai Comuni le somme ricevute dalla Svizzera, trattenendone il 30%. Fosse confermato questo drenaggio di risorse da parte dello Stato italiano, andrebbe appurato se esso sia compatibile con l’accordo.
(…) Il versamento della quota d’imposta deve essere effettuato su un conto aperto presso la Tesoreria centrale italiana. L’articolo 4 dell’accordo aggiunge – e questo è il punto determinante – che “le autorità italiane provvederanno a trasferire dette somme ai Comuni nei quali risieda un adeguato numero di frontalieri.
È assai dubbio che Roma possa quindi trattenere alcunché sui ristorni (men che meno una quota del 30%) senza violare l’accordo.
Il Tesoro italiano deve in altre parole fungere semplicemente da postino fra i cantoni svizzeri e i comuni italiani. Se così non fosse, se cioè Roma trattenesse realmente una parte (tutt’altro che indifferente) dei ristorni, la decisione del nostro Consiglio di Stato non avrebbe nulla di illegale, ma sarebbe al contrario un atto dovuto (e anche molto cauto e diplomatico) di fronte ad un’illegalità della controparte.
Questo aspetto, giova ripetere, esige un rapido chiarimento. E in sede di revisione dell’accordo v’è da chiedersi se il versamento non debba essere fatto in futuro direttamente ai Comuni, senza passare da Roma.”