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Le società nord africane attraversano profonde mutazioni. Resta da capire se i disordini che le stanno caratterizzando sono una tappa della loro storia.

Egitto, Tunisia, Libia: dopo l’esaltazione per la libertà ritrovata, dopo aver cacciato i presidenti Hosni Moubarak e Zine al Abidine Ben Ali e aver linciato il dittatore Muammar Gheddafi, questi paesi si trovano in preda a confusione, violenza, insicurezza, delinquenza, banditismo, proliferazione delle armi. Il tutto su uno sfondo di regimi militari e nuovi governi di stampo islamista.

Nel gennaio 2011 la Primavera araba aveva entusiasmato l’opinione pubblica mondiale per la sua risoluta voglia di libertà. Un anno dopo, tunisini, egiziani e libici sono sempre più preoccupati di sprofondare nel caos di uno scenario simile a quello dell’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein.

I disordini del 1. febbraio allo stadio di Porto Said, in Egitto, alla fine di una partita di calcio, hanno fatto decine di morti e gettato ombre sul governo retto dai militari: le Forze armate avrebbero organizzato i disordini allo scopo di destabilizzare il paese e giustificare la loro permanenza al potere, unici garanti della sicurezza.
Oggi il Cairo è una città in stato d’assedio. Le strade attorno alla centralissima Piazza Tahrir (epicentro della rivoluzione pacifica che ha obbligato Moubarak a dare le dimissioni) sono chiuse da barricate in filo spinato a protezione degli uffici ministeriali e del Parlamento.
Tutt’attorno sono dispiegate le milizie dei Fratelli musulmani, vincitori delle elezioni legislative. L’alleanza degli islamisti con i vertici delle Forze armate è tacita e non rassicura la popolazione. Negli animi domina l’insicurezza e la paura di fronte a questa “rivoluzione permanente” che favorisce delinquenza e proliferazione delle armi.

In Tunisia la situazione è simile. Anche qui regna sovrano un clima da psicosi collettiva, accentuato dalle voci di un’avanzata dei salafisti nel paese, con tutto ciò che questo comporta.
I tunisini subiscono anche la legge dei criminali, che agiscono approfittando di un sentimento di impunità. I furti sono aumentati in maniera rilevante e molti attribuiscono questo fatto alla liberazione di 9’000 prigionieri dall’inizio della rivoluzione.
Il ministero dell’Interno sostiene che la criminalità è diminuita ma i fatti mostrano il contrario.
Quello che dicono le istituzioni non viene creduto e nessuno mette un centesimo per la loro legittimità. Si dice che le forze dell’ordine siano controllate dai religiosi salafisti, un sospetto alimentato dal loro immobilismo e in ogni caso i poliziotti non fanno più paura come quando Ben Ali era al potere. Ora sono diventati il bersaglio di manifestanti sempre più arrabbiati, soprattutto giovani che dopo la rivoluzione hanno perso il lavoro (molti lavoravano nel turismo) e si trascinano da mattina a sera dal bar al marciapiede davanti a casa, in un incessante andirivieni senza sbocco.
L’ostilità contro le autorità è generalizzata e in aumento. Tra gennaio e settembre 2011 ufficialmente sono state oltre 400 le aggressioni ad agenti di polizia. In realtà sono ben di più.
Nella Tunisia profonda l’aumento dell’estorsione, dei falsi posti di blocco sulle strade e dei furti di bestiame ha portato la popolazione a creare milizie e organizzare turni di sorveglianza.
I membri del regime ammettono di aver ridotto di almeno l’80% le loro trasferte all’interno del paese, per il timore di essere aggrediti. A Kasserine, Sidi Bouzid o nella regione di Sfax, la miseria, la disoccupazione e una debole presenza di forze dell’ordine permettono ai criminali di prosperare e agli estremisti religiosi di esercitare la loro perniciosa influenza sui cittadini.

In Libia stesso scenario. Il ritorno alla normalità è ostacolato soprattutto dall’insicurezza. Le milizie di Zentan e Misratah continuano a regnare sulla capitale Tripoli, malgrado gli appelli del nuovo governo affinchè restituiscano le armi e facciano ritorno alle loro case.
I regolamenti di conti sono all’ordine del giorno e nella capitale i morti si contano a centinaia. La minaccia dei miliziani crea un sentimento di auto difesa nei civili, che si dotano di armi, munizioni, giubbotti antiproiettili, articoli che al mercato nero raggiungono prezzi esorbitanti.

La scomparsa di Muammar Gheddafi ha rivelato la totale assenza dello Stato. “Il futuro della Libia si giocherà agli angoli delle strade, kalashnikov in pugno – commenta amareggiato un abitante di Tripoli. Come in Iraq, per l’appunto.

(Ticinolive/JeuneAfrique.com)