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Per l’8 agosto è attesa la decisione dei giudici circa il dissequestro degli impianti dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, dopo che nei giorni scorsi la Magistratura italiana vi aveva apposto i sigilli.
Da giovedì i vertici societari e aziendali sono agli arresti domiciliari con l’accusa di disastro ambientale.

Le centinaia di lavoratori impiegati presso l’Ilva temono per il loro posto di lavoro. Da giorni cortei di protesta, a cui partecipano migliaia di persone, si susseguono per scongiurare una tale eventualità.

Una lotta tra due disastri : il disastro ambientale causato dall’inquinamento e il disastro sociale causato da un’eventuale chiusura definitiva dello stabilimento, con il conseguente licenziamento dei suoi operai.
Quanto accade a Taranto è l’esempio di quanto sta accadendo nel mondo, soprattutto nei paesi New Commerce come Cina e India, dove negli ultimi decenni l’economia si è sviluppata ai danni dell’ecologia e dell’ambiente, della salute e del benessere pubblico.

Quel che è diverso, è che in questi paesi la chiusura delle fabbriche inquinanti non è mai contemplata. Lo sviluppo industriale prevale, anche se l’emissione dai camini degli stabilimenti industriali di migliaia di tonnellate di polveri inquinanti – diossido di azoto, anidride solforosa, acido cloridrico, benzene, diossina e quant’altro – annienta l’ambiente e fa ammalare animali e esseri umani.
Nell’industria, sviluppo e inquinamento ambientale vanno di pari passo e sono uno dei temi principali dell’assetto socio-economico dei paesi in via di sviluppo e, in maniera leggermente minore (leggermente) di quelli già sviluppati.

B. Ravelli