È un brutto periodo, questo, per la più sfolgorante attrice di Hollywood. Non è in buona salute e non riesce dormire senza sonniferi, assunti in dosi sempre maggiori. È stata costretta a interrompere la lavorazione di un film, sta cercando una nuova parte e fatica a trovarla. È depressa. Questa donna, idolatrata da milioni di fans, è vittima del male oscuro.

Sabato 4 agosto 1962, in serata, Marilyn si è chiusa in camera da letto nella sua casa di Los Angeles e parla continuamente al telefono. Peter Lawford, il cognato dei Kennedy, l’ha invitata a cena ma lei chiama e disdice. Robert Kennedy è in città ed è quasi certo che l’attrice e il fratello del presidente si sono dati appuntamento in casa di Lawford. Ma Marilyn non ci va. Mormora però una parola che lascia Lawford inquieto: “Addio!”

Le ore passano, la porta rimane chiusa, la luce accesa. Le dieci, poi mezzanotte. La governante di Marilyn Eunice Murray non sa che fare. A un certo punto si decide a chiamare soccorso. Invece di forzare la porta rompono il vetro di una finestra con un attizzatoio. Sono ormai le quattro del mattino. Marilyn Monroe giace nuda sul letto, la mano protesa verso il telefono, morta da diverse ore, dirà il coroner.

Il 5 agosto viene eseguita l’autopsia. Secondo il referto medico-legale l’attrice si sarebbe suicidata ingerendo 47 pasticche di Nembutal e una dose imprecisata di idrato di cloralio. Ma molti non credono affatto al suicidio. Perché tra la sera e l’alba del giorno successivo c’è un buco di troppe ore, perché sono note le relazioni sessuali dell’attrice con il presidente e suo fratello Bob, perché Marilyn avrebbe detto in un momento d’ira: “Sto per vuotare il sacco!”

I fautori della tesi dell’omicidio affermano che l’attrice non ingerì le compresse di Nembutal, ben 47!, i cui resti non furono trovati nel suo stomaco. Ma il Nembutal le fu trovato nel sangue e ciò dimostrerebbe che Marilyn fu uccisa con un’iniezione, anche se un’accurata ispezione del corpo non potè individuare alcun forellino d’entrata.

Se ci fu omicidio, chi furono i killer e chi fu il mandante? Il dottor Noguchi, perito patologo, nel suo libro “Il coroner indaga” indica Robert Kennedy come vittima di un possibile ricatto. “Alcuni sicari sarebbero penetrati di notte nella stanza da letto di Marilyn, l’avrebbero drogata e costretta a telefonare a casa di Peter Lawford (dove presumibilmente c’era Bob Kennedy) per dirgli che si stava togliendo la vita. Se Kennedy, sconvolto, si fosse precipitato da lei per salvarla… sarebbe stato incastrato e ricattato. Ma Kennedy non si mosse, la trappola non scattò e Marilyn fu lasciata morire”.

Questo thriller mozzafiato è superiore a una banale storia di suicidio? E allora crediamoci, se così ci piace.