Qualche giorno fa ho partecipato ad una discussione molto interessante sul tema dello sport svizzero e del sostegno formativo-finanziario a beneficio dei nostri sportivi dilettanti e professionisti.

Il discorso sarebbe vastissimo e poche righe non basterebbero ad approfondire nei dettagli la complessità della materia o a fare un distinguo tra sport a livello amatoriale e agonistico, ma è doveroso soffermarci almeno su alcune riflessioni, perché oggi si ha l’impressione che nel nostro Paese lo sport venga sottovalutato sotto diversi aspetti, sia finanziari sia di supporto post-agonistico, sebbene abbiamo un Dipartimento federale formalmente incaricato anche di questo (Dip. Difesa popolazione e Sport).

Ricordiamo che in diverse nazioni lo sport professionistico è ancora un importante motivo di orgoglio e spesso viene ancora sovvenzionato o addirittura sostenuto totalmente dall’apparato pubblico. A questo proposito, non si può non correre indietro col pensiero ai Paesi comunisti durante la guerra fredda, i quali, oltre ad alimentare ed ostentare l’orgoglio nazionale, si scontravano con l’Occidente e con gli USA a suon di vittorie e medaglie.
L’esempio classico erano le squadre sovietiche di hockey e calcio, che ingaggiavano atleti arruolati nell’Armata Rossa, ovviamente tutti con il grado di ufficiale. Questo escamotage permetteva ai tempi di partecipare anche alle olimpiadi, quando le regole d’ammissione erano basate su atleti unicamente non professionisti. Venendo a tempi più recenti, anche nella vicina Italia abbiamo visto atleti di primo piano provenire dai gruppi d’Arma quali i Carabinieri, Finanza, Polizia oppure Forestali.

In Svizzera, un sostegno finanziario così solido e articolato, per gli sportivi e le loro famiglie, purtroppo però non esiste. Sono presenti centri di formazione sul territorio, come per esempio il Centro sportivo di Tenero o il Centro nazionale di Macolin o ancora a Briga per gli sport invernali, ma è dato assodato che i nostri sportivi d’élite e le loro famiglie vengano solo marginalmente aiutate a sostenere finanziariamente gli sforzi degli atleti per rappresentare la nostra Nazione.
Gli sportivi vengono selezionati nelle loro discipline, seguiti dai Club e magari poi dalle associazioni regionali (selezioni cantonali) o addirittura dal mantello nazionale, dove vengono poi magari indirizzati in centri specifici come quelli già elencati, dove ci si occupa della formazione sportiva e dell’istruzione scolastica e professionale degli allievi.

Da alcune testimonianze, tuttavia, emerge che le famiglie vengono lasciate completamente sole nel supporto finanziario ai propri figli, dai viaggi interni al Paese o all’ estero, dalle attrezzature sportive alle rette mensili dovute ai centri formativi, e questo per tutti i lunghi anni necessari a trasformare un pulcino in un talento dello sport. Un carico decisamente troppo sostenuto, specie per le famiglie meno abbienti, che spesso sono costrette a gettare la spugna e ritirare il proprio figlio dallo sport, con conseguenze incalcolabili per l’atleta e la sua famiglia (frustrazione, senso di sconfitta, vergogna in alcuni casi, difficoltà ad intraprendere strade alternative in seguito), ma anche per l’intera nazione, rea di aver trascurato e infine perso un talento che avrebbe potuto portare onore, successi sportivi e contribuire all’immagine del Paese.

L’idea non è certo di inserire elementi di discriminazione tra famiglie, ma coloro che si impegnano duramente a mettere il proprio figlio a disposizione dello sport agonistico nazionale e internazionale meritano di essere sostenuti dal Paese, con agevolazioni che nel tempo verrebbero ampiamente ripagate: se alcune rette e spese potrebbero essere assunte dal Dipartimento Difesa Popolazione e Sport, altre potrebbero essere dedotte dalle imposte o parzialmente rimborsate dai Cantoni.

Non giova continuare ad inviare miliardi (pubblici) all’estero e ai Paesi in via di sviluppo in tutto il mondo, se poi non siamo nemmeno in grado di sostenere i nostri giovani sportivi.
Pretendiamo da loro il massimo, medaglie e successi, li ringraziamo pure al loro ritorno con mazzi di fiori e politici sorridenti (magari in campagna elettorale) all’aeroporto di Zurigo-Kloten, ma poi non siamo in grado di pagar loro nemmeno l’albergo o il biglietto aereo per Pechino o Oslo. Tutto resta a carico dei genitori.

Concludo con un invito alla riflessione su un argomento delicato e fondamentale, ma troppo spesso dimenticato: la vita dello sportivo d’élite e di successo che, una volta terminato il periodo agonistico e aver esaurito la carica di adrenalina, si ritrova molte volte abbandonato a se stesso. Esempi nel mondo dello sport nostrano e nazionale ve ne sono stati, alcune volte con finali tragici, impossibili da dimenticare.

Probabilmente, quando uno sportivo non si trova più sotto i riflettori e nemmeno al centro dell’interesse sportivo o degli sponsor, si ritrova perso in un mondo che non gli appartiene. È impossibile e ingiusto liquidare il tutto con la facile scusa della “fragilità psicologica”.
Il punto è che la formazione di uno sportivo, lungo tutte le fasi della sua crescita, dovrebbe puntare a farne un campione, sì, ma prima di tutto un uomo, con un bagaglio di nozioni e conoscenze che gli permetteranno, una volta terminato il periodo agonistico, di essere facilmente e opportunamente ricollocato in una vita professionale alternativa, la cui responsabilità moralmente non può che essere attribuita a chi ha gestito la vita di questi sportivi negli anni “del successo”.

Tiziano Galeazzi
Presidente UDC Distretto Lugano