Risposta pubblica al cortese invito del professor Francesco De Maria


Ricevo questa lettera con dispiacere e, senza problema, la pubblico. Avrei voluto incontrare Carlo Curti (che sono costretto a immaginarmi) perché scrive cose che pochi scriverebbero, e le firma con il suo nome. Io le pubblico – così come prima le pubblicava la mia insostituibile collega, allora io non c’ero – perché le giudico (benché “borderline”) interessanti. Mi sento tuttavia obbligato – non lo faccio per soddisfazione ma per necessità – ad anteporre a certi pezzi un’esplicita riserva, che distanzi il portale da determinati contenuti. Io pubblico un articolo nel quale l’assassino di Aldo Moro viene trattato con comprensione (eufemismo), posso farlo (altri non lo farebbero) poiché questo appartiene alla mia libertà. Ma debbo per lo meno “separare” il portale da certe tesi estreme. Qui non si tratta di sì o no all’iniziativa Minder!

Peccato che il signor Curti non abbia accettato il mio invito, il risparmio di franchi 5 non mi rallegra oltre misura (ma l’invito sarebbe stato al Grand Café al Porto, dove il cappuccino costa 5 e 30, l’inflazione non ha pietà…). Un’ultima osservazione. Io non sono affatto un “giornalista di lungo corso”, magari importante, come un Pontiggia o un Foa (vecchi amici), ma un blogger divenuto giornalista per hobby.


PS. Mi avvedo ora dell’espressione “conflitto degli anni settanta in Italia”. Tutti capiamo di che cosa si tratti, ma le parole sono per lo meno bizzarre. Sembra il derby tra il Lugano e l’Ambrì Piotta!

Grand café
Sembra che la redazione di Ticinolive desideri conoscermi personalmente e, (perché no?) visti i tempi che corrono, sapere che faccia ho, quale inflessione linguistica scaturisce dal mio parlare, che attività svolgo e quali storie mi porto dietro. Tutto comprensibile e lecito per dei giornalisti di lungo corso che “inciampano” nel caso strano, stuzzichevolmente anonimo nell’ammucchiata di facce che di solito affiancano, in bella vista, ogni loro contributo sui quotidiani cartacei e su internet. Bene; li ringrazio e altrettanto gentilmente, declino l’invito.

Anch’io abito a Lugano, però non sono sull’elenco telefonico né su quello delle targhe dei veicoli a motore. Il caffè lo bevo (non lo leggo) due volte al giorno sempre a casa mia e, quando si rende necessaria l’opportunità, con compagni di passaggio che decidono di venirmi a trovare. Non ho relazioni pubbliche da quando queste si sono trasformate in “convenienze” pubbliche e quindi, più che un cittadino, sono un lupo metropolitano. Nessuna tessera di partito ha occupato le mie tasche se si eccettua quella che mi feci prestare dal nonno nel 1956 per farla vedere al reverendo che ci faceva catechismo. Era del Partito Comunista Italiano, scaduta da pochi mesi e non più rinnovata per l’aria che tirava dentro il partito dopo il ventesimo congresso del PCUS. Vivo tranquillamente con la mia famiglia senza mai aver fatto ricorso alla “parolina importante” di qualche conoscente. Avrei potuto, visto che al ginnasio-liceo di viale Cattaneo ero in classe con buona parte dell’attuale Ticino che conta; non l’ho fatto e sono contento di non averlo fatto.

Quando posso viaggio, anche molto lontano, per vedere se è poi vero che stiamo nel miglior paese del mondo e spesso, al ritorno, mi rispondo di no. Come tutti non so cosa ci potrà riservare il futuro, ma ai ragazzi dico di prepararsi al peggio perché la strada imboccata è piena di trappole, seminate per difenderci dagli altri e che alla fine ci penalizzeranno. I compagni di qualche decennio fa, lottando per una società comunitaria e luminosa, si sono ritrovati al buio; oggi profeti di tutt’altro genere farfugliano di lussi e comodità di massa tali da far credere che la morte sia divenuta un optional da rimandare a piacimento. Per qualche buontempone la storia doveva fermarsi al 1989 e invece prosegue, vispa e incontrollabile, con le sue innumerevoli sorprese, fra guerre imperialistiche per il controllo delle risorse energetiche, fame e povertà endemiche, migrazioni e rivolte dei dannati della terra. Chi in tale contesto fa ancora distinzione fra buoni e cattivi sta, nella migliore delle ipotesi, viaggiando su un treno di cui possiede regolare biglietto ma ne ignora la destinazione.

“Se sarà luce, sarà bellissimo” è il titolo di un buon film sul conflitto degli anni settanta in Italia che, se vuole, può trovare ancora sul mercato o scaricare gratuitamente dalla rete. Per me solo lampi di luce e tutti rivolti a un possibile futuro, quando un numero sempre maggiore di persone si renderà conto che le condizioni di vita semplice saranno meno penalizzanti delle deformazioni indotte dal capitalismo, quando i giovani cercheranno nello studio la conoscenza e non un riconoscimento cartaceo, quando i malati saranno trattati da pazienti bisognosi di cure e non da oggetti commerciali del marketing sanitario, quando gli artisti comprenderanno che non c’è censura più insopportabile di quella del mercato.

Mi fermo qui con una speranza e una certezza. La speranza di non averla offesa rifiutando il suo invito e la certezza che, in fondo, una soddisfazione gliel’ho procurata: Ha risparmiato cinque franchi per due caffè.

Carlo Curti, Lugano