I recenti fatti di sangue avvenuti con armi da fuoco in Vallese, a Daillon, e nel Canton Lucerna, a Menznau, hanno comprensibilmente toccato i cuori e le coscienze di tutti, innescando reazioni e sentimenti di dolore e di preoccupazione.
Si tratta di drammi spesso nati da un profondo disagio sociale, da squilibri psichici e da patologie di vario tipo, come in Vallese, oppure da spinte delinquenziali.
Sulla genesi di quanto avvenuto la settimana scorsa nel Canton Lucerna, si sa invece poco o nulla, se non che la mano assassina è quella di una persona pregiudicata, condannata per reati gravi e, ciò nonostante, facilmente naturalizzata nel nostro paese alla fine degli anni Novanta.

Purtroppo, ogniqualvolta succedono questi eventi tragici (che fortunatamente alle nostre latitudini sono numericamente circoscritti rispetto ad altri paesi) c’è una parte politica che usa strumentalmente tali situazioni per portare acqua al proprio mulino, chiedendo restrizioni che colpiscono essenzialmente i cittadini onesti, quelli che le armi le detengono legalmente.

Tutto ciò avviene grazie anche al sostegno attivo della maggioranza dei media, compresi quelli del cosiddetto servizio pubblico.
Nel nostro Paese, il fronte disarmista, quello che tramite un’iniziativa popolare due anni fa voleva impedire il mantenimento dell’arma d’ordinanza al domicilio del milite -un primo passo sulla strada dell’abolizione dell’esercito di milizia- e imporre forti restrizioni a tiratori, cacciatori e collezionisti non ha mai accettato la cocente sconfitta subita in votazione popolare e ora torna alla carica per rilanciare il tutto, non esitando a cavalcare le tragedie umane e alcuni fatti delinquenziali per raggiungere i propri obiettivi.

Ancora una volta, molti media hanno optato per la facile condanna delle armi in quanto tali, perorando la causa di chi vorrebbe semplicemente abolirle tout court.
Secondo i benpensanti del “politicamente corretto”, non sono le persone a determinare l’uso e l’abuso delle armi, bensì le armi stesse e dunque via le armi! È molto più facile illudersi che togliendo i mezzi si risolvano i problemi. Le statistiche dicono che in Svizzera gli atti di violenza con armi da fuoco sono relativamente limitati rispetto ad altri Paesi.
È tuttavia doveroso mettere in atto tutte le misure per prevenire certi tragici eventi -ci mancherebbe-, ma è falso stabilire correlazioni dirette fra l’esistenza di armi e gli atti violenti con le stesse: prova ne è il fatto che, nei Paesi dove le armi sono state drasticamente ridotte, il numero di atti violenti non è affatto diminuito e in molti casi è purtroppo drasticamente aumentato.

La scorsa settimana, all’indomani dei fatti di Menznau, la radio (RSI Rete Uno) ha dedicato una buona fetta del programma d’intrattenimento mattutino all’evento, conducendo una sorta di sondaggio.
Verso le 7:20 è stato interpellato anche il consigliere nazionale vodese del partito dei Verdi, Christian Van Singer, che ha detto peste e corna sull’esito del voto popolare di due anni fa (complimenti per il rispetto del responso popolare, signor consigliere nazionale!), lanciandosi poi in filippiche contro l’attuale legislazione che regola il possesso e la detenzione delle armi da fuoco.
Il deputato ha certamente tutto il diritto di sostenere quello che meglio crede, ma la radio di servizio pubblico non può continuare a trasmettere posizioni unilaterali, tralasciando di dare spazio all’altra parte che, sulla base del voto del febbraio 2011, rappresenta, guarda caso, la maggioranza della popolazione svizzera. Perché non ha interpellato, per esempio, anche un altro deputato alle Camere federali (magari ticinese) che la pensa diversamente dall’infervorato disarmista vodese?

La RSI dispone certamente di seri professionisti, ma talvolta l’impostazione informativa generale lascia a desiderare per l’eccessiva parzialità e questo non può che destare preoccupazione, poiché il nostro ente radiotelevisivo opera sulla base di un preciso mandato pubblico che è chiamato a rispettare.
Ho purtroppo avuto modo recentemente di assistere a qualche fulgido esempio di informazione unilaterale.

Per rimanere in tema, lo scorso 8 gennaio, qualche giorno dopo i fatti di Daillon, al TG delle 20:00 della RSI LA1, in un servizio sulla riunione della Commissione per la sicurezza del Consiglio nazionale, la giornalista Paola Ceresetti ha intervistato la presidente commissionale, Chantal Galladé (PS/ZH), che si era mossa in prima linea a favore dell’iniziativa disarmista del 2011.
Dopo il cappello di presentazione della presidente, nel quale si faceva riferimento a un fatto privato (“Lei che ha visto suicidarsi il padre con un’arma da fuoco”), la giornalista ha esposto la posizione minoritaria -volta ad introdurre norme sempre più restrittive- della Galladé all’interno della commissione, con relativa intervista. Morale della favola: la posizione della maggioranza commissionale è stata bellamente impallinata, in compenso tutti hanno capito molto bene la posizione della signora Galladé e della giornalista RSI.
Rinnovati complimenti per l’imparzialità e l’equidistanza!

Alla luce di questi fatti, chissà cosa dobbiamo aspettarci fra qualche mese, quando saremo chiamati a dibattere e a votare sull’iniziativa che vuole togliere il servizio di leva obbligatorio, una misura che, se approvata dal popolo, porterebbe alla cancellazione dell’esercito di milizia e non solo.
Se l’informazione su armi ed esercito è fatta in questo modo, chi garantisce professionalità ed imparzialità sul resto? Alla CORSI non hanno proprio nulla da dire?

Iris Canonica
Associazione Libertà e Valori.ch