Nel secondo giorno del processo a Bradley Manning, presso la Corte marziale di Fort Meade, Adrian Lamo – che dopo aver raccolto le confidenze del giovane soldato lo aveva denunciato – parla di un militare “desideroso di verità” e non di un collaboratore con il nemico.

Adrian Lamo, pirata informatico e confidente di Bradley Manning, ha testimoniato martedì 4 giugno nel processo al soldato accusato di aver consegnato 700’000 dispacci diplomatici e altri documenti militari top secret al sito internet WikiLeaks.
Lamo parla di un giovane militare dal carattere fragile, spinto nel suo agire dal desiderio di cercare la verità e non dall’intenzione di aiutare il nemico.

Durante le loro conversazioni, dal 20 maggio 2010 sino all’arresto, avvenuto sei giorni dopo in Iraq, Adrian Lamo ha assicurato che Manning non aveva mai parlato male degli Stati Uniti : “Diceva che non era coraggioso, che era debole, giovane, credulone e stupido e che si preoccupava della vita umana.”
Una testimonianza che appoggia le argomentazioni degli avvocati della difesa, che mettono l’accento sull’instabilità emotiva del giovane uomo.

Denunciato dallo stesso Adrian Lamo dopo che si era confidato con lui, Bradley Manning è accusato di aver collaborato con il nemico e di aver volontariamente messo in pericolo il suo paese.