Il centenario della nascita di Albert Camus, 7 novembre 1913, premio Nobel per la letteratura nel 1957, uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, dalle nostre parti ha avuto scarso risalto. Nulla in paragone alla rilevanza mediatica accordata a Verdi e Wagner, due grandissimi nel loro campo, come lo è Camus nel suo.
Francese d’Algeria dalla vita privata tumultuosa (donne e peripezie di vario genere), fu un uomo libero nel senso vero della parola, con la disposizione al nuoto contro il “mainstreaming” che ne è indispensabile premessa. Sull’altra faccia della medaglia stava la guerra al conformismo di tutte le parrocchie, prima fra tutte quella del comunismo a cui aveva aderito giovanissimo per poi farsi “scomunicare” a soli 24 anni d’età.
Una differenza abissale tra lui ed il suo amico, solo fino al 1952, Jean-Paul Sartre, personaggio intelligentissimo e in gran voga ai tempi dell’esistenzialismo, ma ignobile e ripugnante intellettuale al servizio di un’ideologia di stampo ecclesiale quale è stato il comunismo staliniano (Stalin, padre dei popoli!). Camus, che non fece mai mancare le critiche ai sistemi democratici occidentali (critiche sempre attuali, condivisibili e più valide che mai), riconobbe, già a partire dall’epoca dei grandi processi del 1937 (procuratore celeberrimo Andrej Vyschinskij, 62 imputati innocenti anche se “rei confessi”, 55 impiccati o fucilati, 7 condannati a pene detentive tra 8 e 25 anni, ma tutti usciti di prigione con i piedi in avanti poco tempo dopo la condanna), il pericolo insito nella deriva paranoide staliniana che avrebbe ridotto tutto un popolo alla schiavitù nel terrore e milioni di innocenti alla morte nei Gulag. Inevitabile che Camus finisse classificato, da parte dell’”intellighenzia” politicamente corretta, come nemico di classe, in contrapposizione appunto all’idolo del momento, il sullodato Jean-Paul Sartre.
Il “mainstreaming” politicamente corretto è una degenerazione dell’intelletto umano dura a morire. E ancora oggi, 53 anni dopo la morte in un incidente stradale di Camus, potrebbe spiegare la scarsa rilevanza accordata dalle nostre parti al centenario della sua nascita.
Non avendo la statura per degnamente onorarlo, mi limiterò a ricordare un suo giudizio sui politici, feroce ma non privo di fondamento:
“La politique et le sort des hommes sont formés par des hommes sans idéal et sans grandeur. Ceux qui ont une grandeur en eux ne font pas de politique”. Da “Carnets”, 1962, chez Gallimard.
Ahimè, ho fatto e faccio politica!
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Tu quoque et quousque tandem, Angeline!
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L’Ufficio federale di Statistica fa sapere che a fine settembre 2013 su 4,844 mio di posti lavoro 1,436 mio erano e probabilmente sono ancora occupati da stranieri. Mica male, per un paese che per ostacolare i successi elettorali del partito di maggioranza relativa viene descritto come xenofobo e ostile ad ogni apertura verso l’estero! I residenti stranieri sono oltre il 21%. I paesi vicini ed amici si strappano i capelli per percentuali tutte sotto il 10% e non di rado addirittura sotto il 5%. La consigliera federale responsabile del problema che secondo i progressisti à tout prix non è tale ha recentemente proposto di modificare, nel senso di addolcirle, le procedure di accoglienza degli immigrati, di tipo economico nella stragrande maggioranza.
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Lo scorso mese 143 ministri degli esteri, tra i quali non poteva mancare l’ineffabile Didiero Burkhaltero, hanno firmato e pubblicato un manifesto contro la pena di morte. Più precisamente contro la pena di morte per gli assassini, non contro la pena di morte per le vittime, innocenti e indifese. Un manifesto che in fin dei conti ha una sua logica. Dopo un assassinio restano una vittima oramai morta e quindi non più “recuperabile”e un assassino ancora vivo, che allora diventa l’unica vita che si possa salvare. I 143 ministri degli esteri hanno fatto di questo salvataggio lo scopo nobilissimo del loro manifesto.
Giù il cappello di fronte a tanta nobiltà d’animo.
Stranamente, a soffiare nei tromboni delle tonitrüanti campagne contro la pena di morte per gli assassini sono sempre e solo personaggi del mondo elitario, quelli che vivono con i piedi almeno 30 cm sopra le teste del popolino. Si pretendono più democratici della stessa democrazia ma su questo tema (come su altri, p. es. l’apparteneza all’UE) si guardano bene dal chiamare i loro popoli alle urne.
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L’Oms, Organizzazione mondiale della Sanità, in accordo con l’Agenzia governativa tedesca per l’Educazione sanitaria, ha inoltrato ai corrispondenti organi istituzionali europei un documento (Standard di Educazione Sessuale in Europa) che invita ad una completa e precocissima istruzione sessuale dei bambini, a partire dai 4 anni: conoscenza del proprio corpo, masturbazione “precoce” compresa, apprendimento delle relazioni sessuali etero, omo o trans. A 6 anni istruzione sui rapporti gay, a 9 specializzazione in mestruazioni, eiaculazione, contraccettivi e gravidanze indesiderate, a 12 conoscenza approfondita delle tematiche legate all’aborto, in attesa della decisione di appartenenza ad un sesso o all’altro di questi allievi così ben istruiti.
Sublimato di Gender Mainstreaming allo stato puro. Plumbei e funerei apprendisti stregoni impazzano sul pianeta. Poveri noi!
Adesso i genitori non si possono più chiamare padre e madre, pardon, madre e padre: sono i genitori 1 e 2, e va bene così. Ma allora, mi domando, questi bambini da educare secondo il documento dell’Oms in accordo con l’Agenzia ecc. ecc. (vedi sopra) non sarebbe meglio, in attesa della loro maturazione, chiamarli semplicemente “umanoidi 1 e 2”? All’Oms, sempre in accordo con l’Agenzia ecc. ecc. (vedi sopra), l’ardua risposta.
Il Parlamento europeo, sulla base di un rapporto di una deputata socialista, Edite Estrela, ha discusso il tema. Purtroppo nel Parlamento sono fioccate le proteste e gli emendamenti, così numerosi da obbligare al rinvio della proposta di risoluzione in Commissione. Temo che i progressisti ad ogni prezzo non molleranno l’osso.
Gianfranco Soldati