Pubblicato nel Corriere del Ticino del 17 dicembre

Nel 2013 il fatto politico più importante per il futuro della nazione è stato il tentativo messo in atto dal nostro ministro degli esteri Didier Burkhalter e dal suo segretario di Stato Yves Rossier di  farci approdare nell’UE nonostante la volontà popolare negativa più volte espressa nelle urne, con un tatticismo che avrebbe automaticamente comportato la sottomissione a giudici stranieri per dirimere problemi di contenzioso (si veda anche l’ultimo articolo di Tito Tettamanti, qui pubblicato, “Giudici inadeguati”). Manovra messa in atto mediante una manipolazione semantica che definiremo surrettizia per non dire che si trattava di un tentativo di turlupinare parlamento e popolo. In che modo? Proponendo di affidar loro (cioè al ministro e al suo segretario di Stato) le trattative con l’UE in vista di accedere al mercato INTERNO europeo invece di negoziare per l’accesso al LIBERO mercato, che preserva libertà e indipendenza della Svizzera nei confronti dell’UE e viceversa.

A scoperchiare l’intrigo è stata l’UDC-SVP con 5 richieste in commissione per la politica estera del Consiglio nazionale. Nella prima si chiedeva che nel mandato ai nostri 2 negoziatori si precisasse che la Svizzera “intrattiene rapporti con l’UE sul piano contrattuale, in modo speciale per facilitare ad entrambe le parti l’accesso al libero mercato. Ma la Svizzera non è membro del mercato interno europeo e non ha l’intenzione di diventarlo”. Richiesta accettata in commissione con 13 voti contro 1 e 7 astensioni (contrari o astenuti sinistra e parte del PPD-CVP). Il ministro accettò di far buon viso a cattiva sorte, ossia di far marcia indietro. Disse di poterlo fare “senza fatica”, ma secondo me sorridendo verde verde.

Comunque sia, la votazione in commissione e la retromarcia a 180 gradi del ministro hanno permesso di chiarire che mercato interno e libero mercato sono due cose che non possono venir confuse, cosa che finora i troppi euroforici che abbiamo a Berna non avevano ancora capito. Aderire al mercato interno significa aderire all’UE, esattamente il significato pratico che avrebbe avuto, il 6 dicembre 1992, l’adesione allo SEE.

Seconda richiesta in commissione: “Bisogna chiarire in modo inequivocabile all’UE che la Svizzera è uno stato indipendente dalla stessa UE. La Svizzera non vuole aderire direttamente né indirettamente”. Postulato  accettato con 14 voti contro 1 e 6 astensioni. Con questo voto la richiesta di adesione all’UE (vergognosamente, è un mio parere, depositata a Bruxelles dopo il voto del 6.12.92 e mai ritirata nonostante ripetute sollecitazioni da destra) è diventata priva di oggetto.

La terza richiesta passata in commissione prevedeva che in futuro la Svizzera non potesse più concludere trattati che giuridicamente o praticamente comporterebbero limitazioni della sua sovranità. In particolare la Svizzera non può impegnarsi ad accettare automaticamente il presente o futuro diritto europeo né può sottoporsi ai giudici europei. Il nostro ministro neocastellano degli esteri, che poche settimane prima, in una conferenza tenuta all’Uni di Zurigo, aveva dato per scontata l’accettazione di giudici stranieri, ha fatto subito marcia indietro accettando anche questa decisione della commissione. In altre parole, si è subito reso conto di essersi sporto troppo dal finestrino del treno in marcia.

L’inaspettata elasticità mentale di cui ha dato prova il consigliere federale ha suscitato grande ammirazione da parte di politici e media che lo avevano prima criticato. Glie ne daremo atto anche noi, quando avrà praticamente dimostrato di aver realmente capito che il popolo svizzero non ne vuol veramente sapere della sua scelta politica precedente, quella di condurci nelle braccia di Bruxelles con tatticismi surrettizi.

La quarta richiesta UDC-SVP, quella di rifiutare ogni “simulacro di preservata sovranità”, ovverossia di non ammettere che il paese venga posto dinanzi alla scelta tra accettazione del diritto UE  o accettazione di sanzioni da parte di Bruxelles è stata invece respinta, in manifesta contraddizione con l’approvazione appena votata della richiesta nr. 3. In pratica accettare sanzioni significa accettare giudici stranieri, e stupisce che gli onorevoli signori consiglieri nazionali membri della commissione non siano stati in grado di capirlo da soli. Per i consiglieri di sinistra lasciamo perdere, ma per quelli cosiddetti borghesi la permanente difficoltà a dar ragione alla destra continua a giuocare brutti scherzi. E`già accaduto, poche settimane fa, e clamorosamente, al Consiglio degli Stati, quando i “superonorevoli” votarono l’acquisto dei Gripen ma ne rifiutarono il finanziamento.

Con la quinta richiesta i democentristi chiedevano l’istituzione di un tribunale paritetico per risolvere problemi di contenzioso. Anche questa decisione è stata una stranezza: si era appena votato il rifiuto di giudici stranieri (terza richiesta) e adesso si rifiuta un tribunale paritetico. Allora, nel caso che l’UE decida unilateralmente le sanzioni, cosa si fa? Si accettano le sanzioni, e allora ci risiamo, in pratica si accettano giudici stranieri, oppure, dopo una sprezzante alzata di spalle si va a bere una birra, lasciando che accada quel che vorrà accadere? Una volta ancora l’ostilità pregiudiziale verso l’UDC-SVP è stata cattiva consigliera dei parlamentari borghesi.

Suscita diffidenza e irritazione, nell’ampia maggioranza popolare che ritiene che lo stato in cui versa attualmente l’UE giustifichi più che mai il voto negativo del 6 dicembre 1992 e la volontà crescente di mantenimento dell’indipendenza e sovranità nazionali, il dover constatare che membri del Governo non esitano a procedere in senso contrario sulla base di criteri personali. In democrazia il rispetto della volontà popolare è un obbligo morale assoluto per chi è chiamato a governare. Un discorso questo che vale per il ministro Burkhalter come per la ministra Sommaruga quando si tratta di espellere gli immigranti che delinquono.

All’atto pratico in fatto di tentativi di portare il paese nell’UE con manovre più o meno chiare da parte di una maggioranza di consiglieri federali e di tutta una plutoburocrazia bernese c’è poco da sperare. E`più che mai necessario tenere gli occhi, le orecchie, le iniziative e i referendum ben aperti.

Gianfranco Soldati, presidente onorario UDC