(fdm) Faccio notare all’amico Marco Chiesa che in Governo ci sono due leghisti (dunque sicuri), la signora Sadis e Bertoli (sicuri nella direzione opposta), e poi c’è il Paolo Beltraminelli. I due “populisti” saranno stati messi in minoranza, due a tre? Io non lo so, perché a Palazzo non ci vado (quasi) mai.

Certe parole del pacifico Marco suonano qui abbastanza dure. Ma, come si dice? A la guerre comme à la guerre!


È una tecnica collaudata quella di far finta di non capire un problema e dare risposte che con la questione sollevata c’entrano poco o punto. Tecnica collaudata, ma pericolosa, perché bisogna essere bravi per intortare la gente. E il Consiglio di Stato del Canton Ticino non lo è. Pochi giorni fa, rispondendo a una mozione presentata dal sottoscritto e da Sergio Savoia sulla necessità di abolire le notifiche online per tutelare il mercato del lavoro ticinese, il governo si è arrampicato sugli specchi sollevando una serie di obiezioni inconsistenti che denotano la sua totale incapacità nel gestire il problema del mercato del lavoro.

Tra queste, la principale sarebbe la necessità di aumentare gli effettivi preposti a questa procedura, qualora la si dovesse espletare allo sportello e non più online, e la creazione di almeno 5 strutture dislocate sul nostro territorio. Qui non si tratta di aumentare un bel niente! Possibile non si capisca l’urgenza di introdurre una serie di ostacoli – e li si chiami pure in questo modo, senza timori né complessi d’inferiorità – per rendere la vita difficile a chi ha scambiato un lembo di Terra svizzera per un gigantesco programma occupazionale di un altro Paese, mettendo in ginocchio migliaia di persone che qui ci vivono e ci vorrebbero lavorare?

Visto che alle imprese d’Oltreconfine è stato steso il tappeto rosso per facilitarne il più possibile attività e sviluppo, mentre per le aziende svizzere che vogliono fare altrettanto in Italia gli ostacoli burocratici sono insormontabili, noi chiediamo semplicemente quella che, anche in gergo diplomatico, si chiama “parità di trattamento”. La reciprocità non è una parolaccia, né uno scioglilingua. A parte il fatto che non abbiamo ancora capito bene quale insormontabile articolo, norma o postilla prevede che la Svizzera debba tassativamente garantire le notifiche online alle imprese straniere, sentirsi rispondere da Bellinzona che l’abolizione di questo privilegio comporterebbe costi amministrativi troppo elevati non suona come una beffa. Lo è.

Non si tratta dunque di aprire cinque uffici in ogni angolo del cantone per facilitare le cose alle imprese italiane. Si tratta di tenerne aperto uno solo, preferibilmente ubicato nella capitale cantonale, dalle 9 alle 16. Punto. Tutto il resto è uno sterile esercizio di contorsionismo levantino per risultare sempre i più simpatici della classe.

Ma il governo è sicuro che i ticinesi vogliano tutto questo? Non sarebbe disdicevole ricordare pure che la competenza per la procedura di notifica rientra in quella serie di misure che vanno sotto il concetto di autonomia cantonale. Perché determinate questioni vanno gestite soprattutto a livello locale, visto che è a livello locale che si ripercuotono i problemi. Eppure, queste semplici constatazioni sfuggono a chi ha l’onore e l’onere di sedere in Consiglio di Stato. Dunque, non solo a Berna, ma anche a Bellinzona pare abbiano dimenticato che il nostro Paese è ancora saldamente in sella alla classifica dei Paesi canaglia, visto che non ci risulta sia stato depennato dalla “black list” tricolore.

Perché, allora, continuare con i salamelecchi nei confronti di chi fa di tutto per metterci in difficoltà? Qual è il senso di questo atteggiamento? Noi non abbiamo paura di chiamare le cose con il loro nome. Perché l’ipocrisia, in politica, è qualcosa di stucchevole, prima ancora che di controproducente. Non dobbiamo più avere timore di definire ostacoli, quelli che vogliamo espressamente siano ostacoli, e impedimenti, quelli che vogliamo espressamente siano impedimenti. D’altro canto non si tratta nient’altro che di una forma di difesa rispetto a chi è molto più abile di noi a posare cavalli di Frisia sul percorso delle ditte ticinesi.

Marco Chiesa, capogruppo UDC in Gran Consiglio