Il Club Hélvétique è un’associazione che raggruppa personalità svizzere di un orientamento ideologico che potremmo definire radico-socialista. Da sempre si battono per l’adesione della Svizzera all’Unione europea, ma con una loro pubblicazione del febbraio di quest’anno suggeriscono pure di aderire all’euro. Il popolo svizzero è già in grande maggioranza contrario ad entrare nell’UE, è pensabile pertanto che ancor più negativa sarebbe la reazione dinanzi all’ipotesi di abbandonare il solido franco svizzero per un euro con i suoi problemi.
L’idea deve essere sembrata estemporanea, tanto che i media non hanno dato alcun rilievo alla proposta. Verosimilmente, la soluzione preconizzata dal Club Hélvétique si basa anche sulla convinzione abbastanza diffusa che la Germania, grazie alla sua partecipazione all’euro, verrebbe favorita per le sue esportazioni (euro debole, prezzi più bassi). Da tempo è in corso una forte polemica da parte degli altri Stati dell’UE che accusano la Germania, nazione esportatrice, di approfittare dell’euro per vendere più facilmente i propri prodotti non consumando per contro sufficientemente al fine di sostenere l’economia europea.
Ora, in considerazione del franco forte e delle difficoltà dovute al conseguente rincaro dei nostri prodotti esportati nelle zone euro, potrebbe parere allettante per l’economia svizzera l’idea di approfittare di una posizione tipo quella germanica. A questo proposito per un giudizio più equilibrato è opportuno precisare che solo circa il 50% delle nostre esportazioni è diretto verso la zona euro e che per esportare questo 50% dobbiamo importare semi-lavorati, componenti ed altro per una quota pari al 30% dei prodotti destinati all’esportazione. Il problema pertanto si riduce al 35% (50 meno 15). Va ricordato anche che settori come quello orologiero, della farmaceutica e a suo modo delle costruzioni sono meno sensibili, ad esempio, della meccanica e ovviamente del turismo. Negli anni successivi al 1972, anno nel quale ha avuto termine la convertibilità del dollaro in oro, abbiamo avuto una rivalutazione della nostra moneta del 40% ed una perdita del 10% dei posti di lavoro. Negli anni Novanta abbiamo pure affrontato una pesante crisi alla quale si è saputo rispondere con molta efficienza grazie ad automazione e razionalizzazione dei processi di produzione.
Da quarant’anni il franco svizzero non fa che rafforzarsi e ciononostante nel contempo le esportazioni non fanno che aumentare. Purtroppo non sempre è bel tempo e potremmo incontrare una fase di maggiori difficoltà che però non verrà superata con sussidi inefficienti o interventi burocratici, ma sapendosi ancora una volta rinnovare. Gli interventi di sostegno, quando necessari, debbono essere riservati ai lavoratori per permettere il loro reinserimento nel ciclo produttivo e non per mantenere in vita aziende decotte.
Il continuo aggiornarsi è l’assillo costante dell’imprenditore. Ma a parte questo, il vantaggio apparente della Germania che opera in euro viene pagato a caro prezzo con una serie di crediti e prestiti inesigibili che essa ha accumulato.
Prendiamo l’esempio Grecia: circa 200 dei 375 miliardi di euro di debito pubblico sono dovuti agli altri Stati della zona euro. Di questi 200 miliardi pro quota 60 competerebbero alla Germania, che non li incasserà mai più. Ma oltre a ciò chi risponderà dei 40 miliardi a carico dell’Italia, di quelli a carico di Spagna, Portogallo e altre nazioni fragili e indebitate? È assurdo sospettare che alla fine l’onere peserà sui conti germanici?
Hans-Werner Sinn, noto economista germanico, in un suo libro del 2012 a quel tempo aveva calcolato il credito della Germania nei confronti della BCE (Banca centrale europea) in 727 miliardi di euro, mentre tutti gli altri Paesi euro, ad esclusione di Lussemburgo, Olanda e Finlandia, erano in debito.
Questa la situazione della Germania che siede su una montagna di crediti di dubbia esigibilità e sicuramente illiquidi e di finanziamenti che la obbligano a tenere in vita il castello di carte.
Il tutto è pericoloso, ma più accettabile quando si è nella veste del direttore d’orchestra, quando si comanda come è il caso della Germania di oggi. Quando si è relegati nell’orchestra a suonare il triangolo, il discorso è molto meno interessante.
Per mantenere il nostro benessere dovremo affrontare, come nel passato, qualche momento duro e non vi sono scorciatoie né soluzioni miracolose. Siamo una nazione esportatrice con i relativi vantaggi e inconvenienti: i primi superano però i secondi. In ogni caso meglio doversi impegnare e far sacrifici per se stessi che lavorare per pagare i debiti degli altri.
Tito Tettamanti
(pubblicato sul Corriere del Ticino e riproposto con il consenso dell’Autore)