NOTA. Abbastanza spassosa l’interpretazione che il presidente Rocco dà del comportamento dei suoi “non colleghi” parlamentari. La si potrebbe definire, volendo: “simpatico cinismo”. Qualcuno, magari, riuscirà anche a offendersi.

Cattaneo 127aIl 14 giugno andremo a votare su una proposta inapplicabile, approvata il 24 marzo dal Gran Consiglio sull’onda della spinta demagogica post-9 febbraio 2014, ma soprattutto a meno di un mese dalle elezioni cantonali, quando nessun deputato voleva finire su qualche lista di proscrizione per aver detto di no (lista che è stata puntualmente pubblicata dal coordinatore dei Verdi Sergio Savoia sul suo blog).

Alcuni, tra coloro che in Parlamento hanno votato sì all’iniziativa dei Verdi “Salviamo il lavoro” lo hanno fatto solo per quel motivo, altri per compiacere l’elettorato, altri ancora perché convinti che alla fine il popolo avrebbe bocciato l’iniziativa. La Lega, per esempio, non poteva farsi mettere all’angolo dai Verdi sul tema del lavoro quando gli elettori stavano già votando per corrispondenza, ha dunque sostenuto l’iniziativa popolare che chiede di ancorare nella Costituzione cantonale il principio di una retribuzione “dignitosa” e di introdurre salari minimi per settore.

Oramai di questi tempi bisogna seguire l’onda, compiacere quel “sentimento popolare” secondo il quale gli imprenditori e i datori di lavoro in genere sono affamatori di popolo, sfruttatori, stupratori del sistema economico e della giustizia sociale. Salvo poi dover ammettere, come ha fatto qualche settimana fa il coordinatore della Lega Attilio Bignasca: “Alla fine voteremo a favore anche se a ben vedere sarà un articolo inapplicabile”. La coerenza del Partito di maggioranza relativa in Governo non si smentisce mai!

A dire che il 14 giugno andremo a votare su una proposta inapplicabile non è però soltanto Bignasca. A dirlo è una sentenza del Tribunale federale secondo la quale a livello cantonale si possono stabilire dei salari minimi solo se inferiori al minimo esistenziale, e senza entrare nel campo della politica economica, in quanto così facendo si viola il principio della libertà economica. Poniamo dunque che vengano introdotti in Ticino salari minimi di 3’500 franchi al mese: a beneficiarne sarebbero solamente il 4% dei residenti, contro l’oltre 20% di lavoratori frontalieri! L’iniziativa “Salviamo il lavoro” andrebbe dunque a quasi esclusivo vantaggio dei frontalieri, rendendo ancora più attrattivo il nostro mercato del lavoro!

Chi sostiene che alzando i livelli salariali spariranno come per incanto migliaia di frontalieri e si avrà un effetto sostituzione al contrario (al loro posto verranno assunti ticinesi o residenti) è in malafede. Non bisogna essere degli economisti per capire che non sarà così e che “Salviamo il lavoro” porterà a un livellamento dei salari verso il basso.

Sempre secondo l’iniziativa lo Stato dovrebbe definire dei salari minimi inferiori a quelli in uso, fissando stipendi al di sotto di contratti collettivi ora in vigore. Sarà questo il vero effetto boomerang dell’iniziativa: scardinare il sistema che oggi funziona e garantisce salari dignitosi e mettere a rischio i contratti collettivi. Io penso che, invece di correr dietro a fantasie demagogiche, dobbiamo allargare a tutti i settori i contratti collettivi, lasciando alle parti sociali il compito di definire i salari.

Il “regalo ai frontalieri” produrrebbe, per contro, per le aziende maggiori costi stimati tra i 70 e gli 80 milioni di franchi l’anno, metà dei quali finirebbero nelle tasche di lavoratori che abitano in Italia! Come se non bastasse, l’incremento di questi costi metterebbe in difficoltà settori che attingono tradizionalmente a manodopera estera e che già sono sotto pressione a causa del franco forte, compresa l’agricoltura che a parole vogliamo sostenere con il consumo di prodotti “a chilometro zero”.

I paladini di “Salviamo il lavoro” argomentano infine che le attività che non pagano salari “dignitosi” dovrebbero andarsene altrove. Premesso che ci sono lavori per i quali non vi è alcun interesse da parte dei residenti e dove la manodopera frontaliera era elevata già prima dei bilaterali, per quale recondito motivo dovremmo rinunciare all’indotto che queste imprese generano in termini fiscali, di posti di lavoro qualificati per residenti e di mantenimento in Ticino di competenze industriali e manifatturiere?

Rocco Cattaneo, presidente PLR