HeimatlandHeimatland di 10 registi svizzeri – Svizzera 2015 – concorso internazionale

Molto sbandierato dagli organizzatori del festival, le attese sono grandi. Un film svizzero, sulla Svizzera, uno sguardo critico sulla nostra società, sulla nostra democrazia.

Sin dall’inizio si seguono diverse situazioni che vediamo al nostro telegiornale tutti i giorni. I supporter di calcio (che fanno un po’ casino), i politici di destra e di sinistra con le loro usuali parole e promesse agli elettori, le previsioni del tempo, ecc. Chicca: vediamo una finta intervista a Jean Ziegler che però interpreta il solito ruolo di se stesso: attacca gli svizzeri che sanno tutto del marcio finanziario e politico che c’è da noi (dalle banche in là, passando dalle poltiche sociali e quelle sugli immigrati) ma che non fanno nulla per porvi rimedio… E’ il suo carattere, bianco o nero, niente mezze misure nei suoi giudizi. Ma sappiamo che in Svizzera a sinistra e a destra e pure in centro c’è chi dice no! Gli svizzeri che non amano il cambiamento ci sono. Ma anche quelli che lo vogliono. Noi, come tutti, siamo molto, molto, molto variegati ma solo noi svizzeri, in questa Europa, usiamo il vero potere del popolo grazie alla nostra democrazia diretta, al ricorso al referendum, anche all’alternanza….

Desio-RE poi, nel film, seguiamo i personaggi rappresentativi dell’abitante medio svizzero: il borghese che va all’aeroporto, il taxista di origini slave che però parla lo svizzero-tedesco – integratissimo come lo sono gli stranieri qui da noi: più svizzeri degli svizzeri, dopo il permesso C e anche prima – , gli esagitati di estrema destra, fucili in mano a urlare il loro nazionalismo, quelli che tirano la cinta, quelli che la vita è dormire, mangiare, e fare l’amore – che noia, sempre uguale, dice il benestante -, la poliziotta con il fantasma del profugo morto ammazzato nell’operazione di rimpatrio, e così via. Insomma “la gente”.

Tutti minacciati da una nube nera che, seguita attentamente dai Binaghi di turno nelle loro precise previsioni meteo, diventa l’assillo delle trasmissioni radio e TV. E anche l’assillo degli assicuratori che vediamo riuniti in seduta straordinaria: i danni del ciclone annunciato rischiano di mettere le loro casse a secco e cercano prestiti dal governo (già sentita questa storia nell’ambito finanziario? Certo che si!).

La preoccupazione per la propria incolumità trasforma tutti gli abitanti della Svizzera (stranieri e migranti compresi) in masse di migranti in cammino verso le nostre frontiere, verso i paesi vicini dell’UE. Intorno a noi, loro sono miracolosamente risparmiati dalla nube-pregiudizi-odirazziali-poteremalegestito-nonparitàdeisessi-egoismo che, nel film, si ferma alle frontiere della Svizzera e solamente qui. Da noi.

Il film è costruito come quelli americani sulle catastrofi annunciate che provocano nella folla il panico e reazioni aggressive, spaventate, rassegnate, arrabbiate o fataliste… Ma qui non c’è l’eroe governo-agentesegreto-buonragazzo tipico dei film americani. I registi, spiegano alla conferenza stampa, vogliono significare che gli eroi siamo tutti noi, abitanti della Svizzera. Titolari della democrazia diretta, del diritto di referendum, cose da abitanti della Svizzera e usiamole! Solo noi siamo in grado di salvarci da queste minacce di chiusure “meteorologiche” e giungere sereni alla beata convivenza. Sotto un bel cielo azzurro e con le Alpi maestose che stanno a guardare. E’ il nostro compito e ci avvertono, nelle intenzioni di questo film, di farlo bene e consapevolmente. Le conseguenze sono la nostra vita con gli altri che osserviamo e ci osservano, il nostro livello di civiltà e di cultura. Il film termina sull’immagine della marea di gente che vuole fuggire dalla Svizzera. L’UE blocca le frontiere. Lascia passare solamente i nostri stranieri con passaporto UE… E si vede un muro che si alza minaccioso-protettivo sulle nostre frontiere.

Capito l’antifona e la critica (che vorrebbe essere feroce ma mi risulta blanda) alla nostra multiculturale e multirazziale società?

Il risultato mi sembra più vicino allo spirito divertito del film “Schweizer Macher” che a quello, voluto dai registi, di una presa di posizione critica sulle nostre politiche-umanitarie-finanziarie-sociali. E’ piacevole e ben ritmato. La rivoluzione per una società più tollerante non credo proprio si farà in seguito alle critichecostruttive-crisiesistenziali-messaindiscussione che questo film vorrebbe illuminare in noi. Checchè ne dicano quelli che lo hanno portato al festival.

Tikkun yTikkun di Avishai Sivan – Israele 2015 / concorso internazionale

La tecnica della creazione di immagini digitali, da Toy Story in avanti è sempre più sofisticata. Chi può dire se l’immagine è ripresa dal vivo o creata artificialmente? Il membro eretto, la vagina in primo piano, il coccodrillo nel gabinetto sono immagini vere o costruite? Ma il film non è questo, anche se queste immagini gli appartengono.

E’ l’integralismo religioso (in questo caso quello degli ebrei ortodossi) e una intelligente satira sui rituali religiosi il, decisamente ben fatto, soggetto di questo film. Un bianco e nero strepitoso, la sorpresa di vedere un nebbione tipo quello della Val Padana sopra Gerusalemme, le tradizioni, i rituali della religione e la loro abile messa in discussione. Non è la satira graffiante di Woody Allen ma è una satira delicatamente esposta e che colpisce là dove deve colpire: nel credo assoluto, puro, indiscutibile. Un padre salva la vita al figlio. La sua religione lo farà sentire in colpa perchè ha capovolto la volontà del suo dio. Il figlio, anemico, frustrato, debole e infantile, dopo la “resurrezione” non è più il praticante ortodosso che il padre e la comunità avevano formato. La ribellione del figlio è quasi impercettibile per uno spettatore laico. Prendere il sole davanti ad una finestra, per esempio. Anche questa azione risulta non conforme alla moralità integralista. Lo dice il papà, ma lo conferma anche tutta la comunità ortodossa che gravita intorno. L’integralismo, in ogni religione, risulta distruttivo e auto-distruttivo, ridicolo, terrorizzante. Rituali che dovrebbero aprire ad una spiritualità desiderata, diventano imposizioni e restrizioni senza senso. Sia per il figlio risorto che per lo spettatore. Dio esiste? Dio è giusto? Parliamone e osserviamo la storia del film: ci dà intelligenti spunti per comprendere quanto il giusto possa essere sbagliato e viceversa. La verità non è nei rituali rassicuranti, ripetuti incessantemente e nel rispetto della tradizione. Il dubbio, la messa in discussione è ciò che ci permette di veramente trascendere, di realizzare il nostro cammino spirituale. Ma non è un film teologico, anche se l’inizio è una rassegna dei rituali ebreo-ortodossi. Poi il dubbio appare e la visione sulla religione si colora, in bianco e nero, di contraddizioni. Come la vita ideale e l’ideale religioso, come il pensiero scientifico e il bisogno di avere un dio, come la scienza e la fede. Caso o disegno la vita sulla terra? Questo film ci dona (anche) un tassello ulteriore per la voglia di continuare a porci la questione, agnosticamente o religiosamente. A seconda di chi guarda.

Desio Rivera