Vittorio Volpi dal Giappone

Non so se vi capiterà di visitare il Giappone. Se vi capitasse, scegliete bene il periodo per farlo coincidere con la fioritura dei ciliegi; essenza della cultura giapponese, ma anche della bellezza della vita.

Sono in questi giorni in visita nel Paese del Sol Levante, dove ho vissuto per decenni, l’arcipelago dipinto ai tempi di Marco Polo come “il paese dell’oro” e dai cinesi, molti secoli fa, dei “nani”.

Non ho mancato di fare una visita al cimitero di Aoyama a Tokyo, proprio durante “mankai”, ovvero della massima fioritura, luogo che mi ha fatto vivere momenti emozionanti in questo periodo dell’anno.

La fioritura è un momento particolare nella vita del paese: la gente ha meno voglia di lavorare, si avverte molto relax; ristoranti e parchi sono affollati perché tutti vogliono godersi lo “Hanami” (descritto pittoricamente da due ideogrammi di ciliegio e guardare). È Il momento di andare ad osservare i ciliegi fioriti.

Vediamo da dove nasce questa tradizione e quale base culturale la supporta. Essa nasce durante il periodo Heian (794-1185). Un momento storico molto interessante durante il quale nasce il primo romanzo della storia. Lo si deve ad una donna, Murakami Shikibu, che ci lasciato un grande classico: il “ Genji Monogatari” , la storia dei Genji (si pronuncia “ghenji”).

La fioritura dei ciliegi viene colta nella cultura nipponica come “un’esplosione di bellezza, tanto intensa quanto effimera, destinata a durare pochi giorni” e diventa la base di un concetto subliminale di “Mono no aware “— il sentimento delle cose – un ideale estetico al centro della letteratura classica giapponese. Siamo di fronte ad una raffinata sensibilità interiore, verso la natura transitoria della bellezza e della vita.

Serve a ricordare che la vita può essere di una meraviglia quasi eccessiva, ma anche tragicamente breve.

Ora non tutti i giapponesi che vanno per “hanami” sono pienamente coscienti del substrato culturale della fioritura, ma la gente ha metabolizzato la tradizione e la rispetta come se fosse un mantra religioso.

Si mobilitano a milioni, seguendo i tempi che sono scanditi in successione in un paese lungo 3 mila chilometri. I meteorologi prevedono quando sarà la fioritura a Kagoshima nel Kyushu, nel Sud, per salire man mano verso Kyoto, sarà poi il turno di Osaka, Nagoya, Tokyo e poi su su fino al nord ad Aomori, Akita e poi l’isola più a Nord dell’Hokkaido.

Per celebrare l’evento i giapponesi vanno nei parchi ricchi di ciliegi, stendono al mattino una tela di vynil per occuparla e poi alla sera con famiglia e amici una cena al sacco, abbondantemente annaffiata con birra e saké fino ad ubriacarsi dolcemente sotto i fiori nella natura di cui si sentono parte.

Cercare l’oblio sotto i fiori che, come la vita, con il loro splendore finiranno in breve tempo, forse anche solo una settimana, se ci sarà qualche temporale. Cosa di più simile alla nostra vita? Una sorpresa se i giapponese ne subiscono il fascino?

Sotto i ciliegi di Aoyama Bochi (cimitero di Aoyama) che coprono il cielo fino a farne scomparire l’azzurro, pur non essendo giapponese, avverto la stessa nostalgia dell’impermanenza del bello al massimo splendore che si allontana inesorabilmente. Come la nostra vita.