Usa via dall’Afganistan, ma in difficoltà con l’Iran

All’apparenza il nuovo presidente Biden ha preso la decisione di evacuare i suoi soldati dall’Afganistan. Torneranno a casa 2500 militari Usa entro l’11 settembre (la data non è una coincidenza).

Abbiamo detto in apparenza perché a prima vista, sulla base del detto della scopa nuova, scopa meglio, potrebbe sembrare farina del sacco di Biden, ma non è così. La decisione è maturata con il suo odiato predecessore Donald Trump e Biden l’ha mantenuta nonostante la sua casacca di democratico. In altre parole, il ritorno a casa e la politica di non fare più i poliziotti del mondo è datata, possiamo dire, degli anni novanta del secolo scorso.

Afghanistan, soldati in addestramento – Foto Pixabay

Un filo rosso che passa per Washington e che a prescindere dal colore politico dei suoi presidenti deve rispondere ad un‘America che non accetta più di mandare a morire i suoi giovani in terre lontane, spesso senza nemmeno conoscerne il motivo.

Formalmente la Casa Bianca considera raggiunto l’obiettivo che spinse gli Usa e gli alleati ad invadere il paese. “Il livello di minaccia che proviene dall’Afganistan non richiede più una presenza militare. Le potenziali insidie vanno gestite senza continuare una guerra infinita con i talebani.. non è immaginabile stabilizzare l’Afganistan con le armi. Non c’è una soluzione militare”. In altre parole, cari afgani, noi abbiamo fatto il possibile per aiutarvi, ora, dopo un lungo conflitto, ve la dovete cavare da soli.

Per Biden è una rivincita storica perché come vice di Obama, il suo mantra era quello di disimpegnarsi dalle guerre lontane. Pur dovendo continuare a confrontarsi con i talebani, Biden sottolinea che il ritiro dei marines americani non significa dare spazio ad un ritorno di Al Qaeda. A questi ovviamente non darà tregua.

Un articolo di fondo del Financial Times considera valida la decisione di Washington, ma suggerisce che per gli States non deve significare la fine del coinvolgimento nella regione ed è un avviso con tempismo perché –  sostiene il quotidiano –  “la Cina si insedia definitivamente a Teheran”.

Il commento si  basa sul mega-accordo di cooperazione Cina-Iran del 27marzo scorso,  che non solo è colossale, ma si articola sul lungo periodo ed assumerebbe il significato di un’alleanza strategica di lungo corso.

Saranno 400 miliardi di dollari di scambi (più della metà del PIL della Svizzera) che garantiscono forniture di petrolio iraniano per 25 anni, in cambio di ferrovie, investimenti sull’ambiente, desertificazione.

È una trattativa che era in cantiere dal 2016, ovvero dalla visita a Teheran del leader cinese Xi Jingping. Si tratta di una partnership strategica a tutto campo che collega Cina ed Iran e che si inquadra nel rapporto di tre colossi – in Asia- come Cina-Russia-Iran (per l’energia). Un’alleanza certamente ostile agli Usa ed è un ulteriore tassello cinese per dare scacco matto a Washington. Per dire che le vecchie teorie del “contenimento “ stile guerra fredda è meglio metterle nella  naftalina. Con ogni probabilità la diplomazia cinese ha messo a segno un altro colpo duro nei confronti di Washington e segnatamente a causa della rottura da parte americana (Trump) delle negoziazioni sul nucleare dalla quale Washington si era ritirata.

Biden ha cambiato rotta rispetto al suo predecessore cercando di riaprire le trattative mettendo  qualche cerotto, ma sarà dura recuperare terreno dopo gli anni di nuove ed ulteriori sanzioni americane contro l’Iran e l’uscita dall’accordo multilaterale sul nucleare iraniano.

L’accordo Iran-Cina è uno tsunami sulla politica estera americana e fa nello stesso tempo rabbrividire Israele (a parole, Teheran vorrebbe la sua eliminazione),  l’Arabia Saudita, la Turchia, l’UAE, Oman, Bahrain. Tutte nazioni vicine agli  Stati Uniti che hanno ora motivo di preoccuparsi. 

La paternità del pivot to Asia è stata di Obama, ovvero spostare la flotta dal Medio Oriente all’Estremo Oriente: parto di Trump invece il bilateralismo e la rottura con sanzioni economiche per i paesi che non gli piacevano (Iran incluso). 

Purtroppo quindi, che la scopa nuova, scopi meglio, si dimostra che non è sempre vero.  Ci sono i precorsi e le eredità della storia che presentano spesso il conto da saldare. 

È un punto debole dei modelli democratici dove ad ogni elezione la scopa nuova per dimostrare che funzioni meglio, cambia rotta rispetto al governo precedente, magari solo per partito preso.

Al contrario, nei paesi dove esiste lo “Stato-Partito”, è possibile seguire coerentemente senza sbalzi, una strategia di lungo periodo, come è  appunto il caso della Cina.

Al riguardo qualcuno ha scritto che le strategie non sono fatte per essere cambiate ogni giorno, altrimenti diventerebbero tattiche..

copa nuova, scopa meglio (Usa via dall’Afganistan, ma in difficoltà con l’Iran)

All’apparenza il nuovo presidente Biden ha preso la decisione di evacuare i suoi soldati dall’Afganistan. Torneranno a casa 2500 militari Usa entro l’11 settembre (la data non è una coincidenza).

Abbiamo detto in apparenza perché a prima vista, sulla base del detto della scopa nuova, scopa meglio, potrebbe sembrare farina del sacco di Biden, ma non è così. La decisione è maturata con il suo odiato predecessore Donald Trump e Biden l’ha mantenuta nonostante la sua casacca di democratico. In altre parole, il ritorno a casa e la politica di non fare più i poliziotti del mondo è datata, possiamo dire, degli anni novanta del secolo scorso.

Un filo rosso che passa per Washington e che a prescindere dal colore politico dei suoi presidenti deve rispondere ad un‘America che non accetta più di mandare a morire i suoi giovani in terre lontane, spesso senza nemmeno conoscerne il motivo.

Formalmente la Casa Bianca considera raggiunto l’obiettivo che spinse gli Usa e gli alleati ad invadere il paese. “Il livello di minaccia che proviene dall’Afganistan non richiede più una presenza militare. Le potenziali insidie vanno gestite senza continuare una guerra infinita con i talebani.. non è immaginabile stabilizzare l’Afganistan con le armi. Non c’è una soluzione militare”. In altre parole, cari afgani, noi abbiamo fatto il possibile per aiutarvi, ora, dopo un lungo conflitto, ve la dovete cavare da soli.

Per Biden è una rivincita storica perché come vice di Obama, il suo mantra era quello di disimpegnarsi dalle guerre lontane. Pur dovendo continuare a confrontarsi con i talebani, Biden sottolinea che il ritiro dei marines americani non significa dare spazio ad un ritorno di Al Qaeda. A questi ovviamente non darà tregua.

Un articolo di fondo del Financial Times considera valida la decisione di Washington, ma suggerisce che per gli States non deve significare la fine del coinvolgimento nella regione ed è un avviso con tempismo perché –  sostiene il quotidiano –  “la Cina si insedia definitivamente a Teheran”.

Il commento si  basa sul mega-accordo di cooperazione Cina-Iran del 27marzo scorso,  che non solo è colossale, ma si articola sul lungo periodo ed assumerebbe il significato di un’alleanza strategica di lungo corso.

Saranno 400 miliardi di dollari di scambi (più della metà del PIL della Svizzera) che garantiscono forniture di petrolio iraniano per 25 anni, in cambio di ferrovie, investimenti sull’ambiente, desertificazione.

È una trattativa che era in cantiere dal 2016, ovvero dalla visita a Teheran del leader cinese Xi Jingping. Si tratta di una partnership strategica a tutto campo che collega Cina ed Iran e che si inquadra nel rapporto di tre colossi – in Asia- come Cina-Russia-Iran (per l’energia). Un’alleanza certamente ostile agli Usa ed è un ulteriore tassello cinese per dare scacco matto a Washington. Per dire che le vecchie teorie del “contenimento “ stile guerra fredda è meglio metterle nella  naftalina. Con ogni probabilità la diplomazia cinese ha messo a segno un altro colpo duro nei confronti di Washington e segnatamente a causa della rottura da parte americana (Trump) delle negoziazioni sul nucleare dalla quale Washington si era ritirata.

Biden ha cambiato rotta rispetto al suo predecessore cercando di riaprire le trattative mettendo  qualche cerotto, ma sarà dura recuperare terreno dopo gli anni di nuove ed ulteriori sanzioni americane contro l’Iran e l’uscita dall’accordo multilaterale sul nucleare iraniano.

L’accordo Iran-Cina è uno tsunami sulla politica estera americana e fa nello stesso tempo rabbrividire Israele (a parole, Teheran vorrebbe la sua eliminazione),  l’Arabia Saudita, la Turchia, l’UAE, Oman, Bahrain. Tutte nazioni vicine agli  Stati Uniti che hanno ora motivo di preoccuparsi. 

La paternità del pivot to Asia è stata di Obama, ovvero spostare la flotta dal Medio Oriente all’Estremo Oriente: parto di Trump invece il bilateralismo e la rottura con sanzioni economiche per i paesi che non gli piacevano (Iran incluso). 

Purtroppo quindi, che la scopa nuova, scopi meglio, si dimostra che non è sempre vero.  Ci sono i precorsi e le eredità della storia che presentano spesso il conto da saldare. 

È un punto debole dei modelli democratici dove ad ogni elezione la scopa nuova per dimostrare che funzioni meglio, cambia rotta rispetto al governo precedente, magari solo per partito preso.

Al contrario, nei paesi dove esiste lo “Stato-Partito”, è possibile seguire coerentemente senza sbalzi, una strategia di lungo periodo, come è  appunto il caso della Cina.

Al riguardo qualcuno ha scritto che le strategie non sono fatte per essere cambiate ogni giorno, altrimenti diventerebbero tattiche…