di Vittorio Volpi

Myanmar, Budda giacente, il secondo più grande del mondo – lungo 55 m, alto 16 m. Wikimedia commons, Anagoria, https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/deed.en

Dopo 100 giorni dal colpo di stato dei militari birmani con alla guida il Generale Min Aung Hlaing, nonostante le circa 800 uccisioni (fonte AAPP-Associazione di assistenza per i prigionieri politici) e 3’614 arresti, la normalità di un paese sottoposto ai militari non è stata raggiunta. I generali si stanno illudendo di avere la popolazione sotto controllo perché le strade sono deserte e visto il sangue versato e i colpi di fucile sparati alla testa dei dimostranti fanno paura.

Ma è solo un’illusione perché l’avversione ai militari ed alla loro violenza per por fine a quel poco di democrazia conquistata, è come un fuoco sotto le ceneri pronto a divampare non appena possibile.

Dopo il golpe del 1.febbraio i militari hanno rimosso una ad una tutte le libertà democratiche faticosamente conquistate dai birmani nei dieci anni seguiti al precedente regime militare.

Dalla liberazione dal dominio coloniale, dalla conquista dell’indipendenza del ’48, la casta militare si è autoeletta “protettrice del popolo birmano” e con mano forte si è assunta il ruolo di governo del paese senza pietà per la popolazione.

Sufficiente ricordare il genocidio dei Rohingya, in minoranza etnica, colpevole di essere mussulmana in un contesto buddista, spingendoli in campi profughi in Bangladesh (parliamo di circa 800 mila persone) dopo aver bruciato villaggi, ucciso, stuprato. Esempio di pulizia etnica violenta dove non è evidente un ruolo di opposizione da parte del capo del governo democratico Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace.

L’anno scorso Aung San Suu Kyi ha stravinto le elezioni in maniera inaspettata dalla casta militare. Questi hanno intravvisto la possibilità di perdere per sempre prerogative e benefici. Da ricordare che i generali oltre al potere militare controllano anche  una grossa fetta dell’economia del Myanmar.

Intanto la giunta militare ha deciso di mandare a processo il premio Nobel, attualmente agli arresti domiciliari, sebbene non sia ancora chiaro con quali capi d’accusa. Il premio Nobel è apparsa serena ieri in tribunale ed ha avuto parole di incoraggiamento per la popolazione : “ prego per il benessere del popolo”…. Per quali motivi è agli arresti?  Pare per dei gadget elettronici che sarebbero stati importati illegalmente, ma anche per non aver operato correttamente contro la pandemia ed aver rivelato segreti di stato.

Si sa, con i regimi autoritari le scuse si trovano per incriminare chiunque anche se nessuno dei cittadini crederà a queste motivazioni perché Aung San Suu Kyi è un’eroina nazionale nel paese (al contrario dell’Occidente, dove a causa dei Rohingya è caduta in disgrazia).

Intanto negli ultimi 100 giorni i generali hanno ricominciato la guerriglia contro i vari gruppi etnici nelle periferie del paese. I giornalisti contrari al regime si sono imboscati nelle giungle o al di là dei confini, ma riescono a far trapelare notizie con mezzi di fortuna. Sappiamo da loro che Aung San Suu Kyi è stata portata in tribunale per l’ interrogatorio senza avvocati di difesa e che 125 mila insegnanti, circa 1/3 del corpo insegnante di tutto il paese (53 milioni di abitanti), sono stati sospesi dal lavoro per aver avuto nei mesi scorsi un ruolo nelle dimostrazioni pubbliche, anti militari.

 In sostanza, calma apparente. Mancando le scuole, paralizzati gli esercizi pubblici, l’economia del paese si avvia verso la rovina. Paesi come il Giappone ad esempio hanno deciso di sospendere gli aiuti al Myanmar.

Altri in Occidente stanno reagendo con sanzioni e proteste alle violenze dei militari verso la popolazione.

Un esempio di protesta non violenta che tocca il cuore si è visto in televisione nella città di Myitkyina dove una suorina cattolica, Ann Rose Nu Tawng, dopo aver visto un dimostrante colpito alla testa cadere vicino a lei, si è inginocchiata di fronte ai militari pregandoli di risparmiare i bambini, offrendo in cambio la sua vita.

Oltre ai brividi, come non ricordare una canzone di Venditti (Roma Capoccia) ed una strofa  “der monno infame”…