di Tito Tettamanti

titolo originale: “Parliamo di neutralità”

onu seggio Tettamanti
Il Palazzo di vetro visto dall’Empire State Building – Wiki commons (Umbertoboccio83) – https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.en

Il 16 giugno il presidente degli USA Joe Biden e quello della Russia Vladimir Putin si sono incontrati per un colloquio di diverse ore a Ginevra. Due politici da decenni sul proscenio e nelle stanze dei bottoni, per i quali il faccia a faccia è sicuramente stato utile, forse, speriamo, ha spianato qualche superfluo malinteso o permesso valutazioni diverse. Il tutto senza farsi eccessive illusioni in un mondo di estrema competizione e in lotta per possibili nuovi assetti.

La Svizzera, che ha garantito efficacemente il supporto logistico e la sicurezza, è onorata di aver ospitato l’incontro, ha svolto il ruolo del neutrale che gode della stima e fiducia di entrambe le parti. Per una volta è lecito felicitarsi con il ticinese Cassis, nostro ministro degli Esteri? Tra l’altro è stata apprezzata la nostra discrezione e riservatezza. L’ambasciatore Paul Widmer, a quei tempi giovane diplomatico alla nostra rappresentanza di Washington, è stato coinvolto nell’organizzazione dell’incontro ginevrino tra Reagan e Gorbaciov nel 1985. Tutto bene, salvo – egli ricorda – il passo falso del Consiglio federale di allora che avrebbe voluto approfittare della circostanza per invitare Reagan per un ricevimento a Berna. Invito rifiutato a giusta ragione. Chi ospita quale neutrale è tenuto alla massima discrezione e deve evitare di approfittare dell’occasione per mettersi in mostra.

Il riconoscimento della Svizzera quale Stato neutrale risale a 200 anni fa (Congresso di Vienna), ma nel corso dei due secoli la politica di neutralità ha subito oscillazioni e mutazioni. Nei primi decenni dello scorso secolo vi fu anche chi si schierò contro la neutralità, postulando tra l’altro l’adesione alla Società delle Nazioni di allora. Fra gli scettici il generale Wille che da bravo generale voleva essere libero di fare la guerra, possibilità esclusa per un neutrale.

Negli anni più recenti, specie dopo la scomparsa del bipolarismo, è forte la corrente di chi parteggia per una Svizzera presenzialista, che si schiera sui grandi temi del momento, specie etici, ritenendo la riservatezza della politica rigidamente neutrale come una forma di egoismo o insensibilità. A questo proposito va precisato che anche una stretta politica di neutralità non impedisce di prendere posizione ad esempio su crimini contro l’umanità. Parimenti la società civile, specie in una realtà democratica come la nostra, non ha solo il diritto ma il dovere di esprimersi e schierarsi tramite le sue più varie componenti, pur evitando di credere che si possano risolvere ad esempio i problemi dei rapporti del mondo con la Cina o con la Russia sorbendo l’Aperol al Bar della Stazione. Riassumendo, l’interrogativo può essere così formulato: meglio una politica che ci vede partecipi in un coro a più voci, ciò che potrebbe venir ritenuto importante per la coscienza del Paese, ma con contributi di modesta se non superficiale valenza pur accompagnati dal piacere e l’orgoglio di dire: «Ci siamo anche noi», oppure un atteggiamento di ragionato riserbo, di senso della modestia delle nostre possibilità, di utile discrezione anche in considerazione di un nostro eventuale futuro ruolo, frenando possibili comprensibili slanci, rinunciando al conforto degli applausi e correndo il pericolo di venir tacciati di egoismo e insensibilità, ma ciò facendo tenere un comportamento che mettendoci al di fuori dei giochi delle parti può darci la possibilità di essere utili, anche se solo come trait d’union, dando un sia pure modesto apporto al dialogo nel mondo? Con i dialoghi si evitano spesso le guerre e si chiariscono incomprensioni.

Questa politica grazie ai nostri buoni servizi permette tra l’altro di comunicare fra chi ha formalmente rotto i rapporti (vedi Teheran, dove l’ambasciata svizzera è il canale tra USA e Iran) o di ospitare con discrezione incontri al vertice quali quello di Biden e Putin e altri colloqui non al massimo livello ma non per questo privi di importanza. Sintetizzando, una politica che evita le luci della ribalta, rifugge dall’applauso pubblico, più difficile per le restrizioni che impone con l’obbligo di una modestia che talvolta può venir fraintesa, ma certo più utile per le faccende del mondo.

Partendo da queste considerazioni ritengo un errore la candidatura della Svizzera alla nomina di membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU sedendo a fianco dei membri permanenti (USA, Cina, Russia, Inghilterra e Francia). È l’organo responsabile della sicurezza internazionale e quindi chiamato a intervenire in possibili conflitti. Nel caso di dissensi al suo interno, specie tra i grandi dai divergenti interessi, con la nostra presa di parte rischiamo di giocarci la neutralità. Con grande lungimiranza il Congresso di Vienna del 18141815 attestò che la neutralità svizzera era anche negli interessi degli Stati europei. La Storia lo ha confermato. Il genere di politica neutrale è una scelta. Da un lato la posizione di condomino titolare di un monolocale nel sottoscala, che abilita a prendere parte e parlare nelle cacofoniche riunioni condominiali, dall’altra quella di chi modestamente può ospitare a casa propria.

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata