Il 9 maggio a Strasburgo, dinanzi agli esponenti dell’UE, il Presidente Macron ha tenuto un solenne discorso.
Dopo aver espresso il sostegno all’Ucraina nel conflitto in corso con la Russia, ha dedicato la prima parte delle sue considerazioni all’UE e la seconda alla visione di un’Europa del futuro che non può venir limitata agli attuali 27 Stati.
A proposito dell’UE ha sottolineato i temi dell’indipendenza e dell’efficacia, elementi indispensabili per la legittimità della nostra democrazia.

È tornato sul tema della difesa militare dell’Europa, sull’utilità di maggiori sforzi anche finanziari che permettano di affrontare le conflittualità attuali e future. Per quanto concerne l’efficienza ha deplorato la lentezza dei tempi di reazione dell’UE, talvolta originata da singoli egoismi e ritiene necessaria una revisione dei trattati europei. Tema centrale è l’unanimità dei voti. Si scontrano due visioni, quella dei piccoli Stati che vedono nel loro voto la possibilità di difendersi dallo strapotere dei grandi Stati e quella di quest’ultimi che vogliono impedire che l’unanimità permetta di usare il voto in forma ricattatoria.

Di particolare interesse la parte finale del discorso dove egli conviene sulla necessità di ripensare la geografia e l’organizzazione del Continente, partendo da quella che ritiene legittima aspirazione di popoli quali quello ucraino, moldavo o georgiano di esser parte di un’Europa democratica. Ammette che “l’UE in considerazione del suo livello di integrazione e delle sue condizioni, non può in tempi corti essere l’unico modo atto a strutturare l’Europa”. Invita ad aprire “una riflessione storica sull’organizzazione del Continente”.

Riecheggia qui la visione di De Gaulle, di un’Europa dal Portogallo agli Urali, e ha ricordato che François Mitterrand, politico di ampio respiro nel 1989 (caduta del muro) lanciò l’idea di una Confederazione europea alla quale si sarebbe dovuto trovare il modo di associare la Russia. Una organizzazione europea, dice Macron, che permetta di “trovare uno spazio nuovo di cooperazione politica, di sicurezza e cooperazione in materia energetica …, vale a dire riunire l’Europa coerentemente con la propria conformazione geografica”.

Queste affermazioni del Presidente di uno dei più importanti Stati dell’UE, avrebbero dovuto già essere all’origine di un ampio dibattito sui destini del Continente. Per contro, i commenti sono stati misurati, quasi più di cronaca, e non mi consta che qualche altro importante politico abbia rilanciato il dibattito. Una classe politica più dedita alle piccole beghe di potere e riluttante dinanzi a riflessioni che esigono basi culturali oggi sempre più vacillanti.
D’altro canto l’apertura corale di un ripensamento su una struttura dell’Europa che tenga conto delle recenti lezioni della Storia non interessa gran parte delle élites. I politici obbligati a riflettere dall’appello di Macron, sarebbero tenuti ad un esame di coscienza che non permetterebbe di ignorare gli errori, le dimenticanze, le distrazioni dei recenti decenni, in una parola le loro responsabilità.

La burocrazia di Bruxelles, dotata di notevole intelligenza tattica e abile nelle strenue difese dei propri poteri, capisce che approfondire le proposte del Presidente francese vuol dire mettersi in discussione, valutare importanti modifiche alla costruzione attuale, non ignorare errori del passato se si vogliono individuare le vie efficaci e realistiche per il futuro del Continente.

Già a suo tempo proposte di una struttura europea a geometria variabile o circoli concentrici sono cadute nel dimenticatoio. La verità è che si vuole una struttura europea centralistica, tecnocratica, dimentica della Storia, della cultura, delle nostre radici. L’Europa nata e sviluppatasi grazie alla competizione – sia pure con le sue ombre – è un mosaico le cui tessere esprimono una varietà che non può venir mortificata da un’uniformità che non le è congeniale.
La realistica constatazione e la proposta di aprire un ampio dibattito sulla strutturazione dell’Europa di Macron cozzerà purtroppo contro la miopia di burocrati, tecnocrati con a traino politici senza respiro. Auguriamoci che non si perda il treno ancora una volta con disattenzioni che ci hanno portato impreparati alla guerra nel Continente.

E per la Svizzera? Certo, ci potrebbe essere un ruolo in una diversa struttura, ma non facciamoci illusioni.
Nel mese di maggio il Consiglio federale ha ricevuto un perentorio catalogo di domande dalla Commissione che se avessero risposte positive porterebbero ad una situazione peggiore di quanto non fosse il progetto di Accordo Istituzionale da noi rifiutato. Non vi è peggior sordo di chi non vuol capire.

Nel contempo, il signor Stefan Hostettler, già funzionario nella segreteria del Partito Socialista, promosso a vice segretario generale (per meriti politici?) del Dipartimento dei Trasporti diretto dalla pure socialista signora Sommaruga, ha pensato bene di accompagnare (guidare?) un pellegrinaggio di tre consiglieri nazionali socialisti dal Commissario Maroš Šefčovič, di nota educazione e formazione bolscevico moscovita e responsabile dei rapporti con la Svizzera, per testimoniare il loro entusiasmo europeista.

Brillante manovra per discreditare la competenza del Dipartimento degli Affari Esteri per i rapporti con l’UE, indebolire la posizione negoziale svizzera, e coprirci di ridicolo a Bruxelles.

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