Di Maurizio Taiana

in realtà pubblicata il 26 febbraio

On. Ay, in quanto Segretario del Partito Comunista, possiamo asserire che Lei ed il suo partito siete la forza politica che attualmente conosce meglio la situzazione venutasi a creare tra Ucraina e Russia? Dal suo punto di vista è lecito ridurre il tutto a scaramucce tra vicini od il quadro è molto più ampio?

Il Partito Comunista segue dal 2014 con apprensione le vicende in Ucraina e già allora era sceso in piazza contro il colpo di stato e in solidarietà con la popolazione civile del Donbass. Era evidente che non si trattava di scaramucce fra vicini: il golpe avveniva perché il governo ucraino di allora, quello di Viktor Yanukovic, aveva rifiutato di firmare il trattato di pre-adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, di fatto schierandosi per delle relazioni migliori con la Russia. E questo non andava a genio all’Occidente. Inoltre va ricordato che eravamo e siamo tuttora nel pieno di una contraddizione geopolitica di portata epocale: USA, UE e NATO sono in declino e cercano in ogni modo – diplomaticamente, politicamente, economicamente ma anche militarmente quando necessario – di frenare il processo di integrazione euroasiatica e quindi l’emergere di un mondo multipolare.

Come sente a pelle il silenzio dell’altro grande vicino della Russia, ovvero la Cina?

La Cina rifiuta ogni egemonismo geopolitico e ha una prassi politica di non interferenza, e lo si vede anche in questo caso. Pechino da giorni sta facendo appello affinché si torni al tavolo delle trattative e si rispetti la carta dell’ONU. È una posizione di grande responsabilità ma che non deve trarre in inganno: l’alleanza fra Mosca e Pechino è solida, e infatti la Cina riconosce le preoccupazioni russe di fronte all’avanzata della NATO verso Est. Tuttavia è verosimile che la Cina manterrà una linea di cautela per quanto riguarda il riconoscimento delle repubbliche popolari di Donetzk e Lugansk perché potrebbe costituire un precedente delicato per due concetti fondamentali come la sovranità nazionale e l’integrità territoriale che sono un principio della diplomazia cinese.

L’Occidente quasi all’unisono punta il dito contro la Russia. È daccordo con questa visione della Russia dipinta come nuova minaccia? Abbiamo spostato le lancette indietro al ‘91?

La retorica della minaccia russa e la russofobia dilagante rappresenta un problema grave, così come la sinofobia peraltro, perché favorisce il razzismo e l’astio verso popoli e paesi che si stanno emancipando dal giogo neocoloniale e hanno sempre più da dire, quando invece la Svizzera avrebbe tutto da guadagnare nel cooperare maggiormente con i paesi dell’Eurasia, che non sono solo emergenti economicamente ma sono pure più rispettosi della nostra sovranità rispetto a UE e USA. Mi è perfettamente chiaro che la Russia di oggi è un paese capitalista con notevoli problemi interni e non è un caso se il Partito Comunista della Federazione Russa di Gennady Zyuganov, con cui abbiamo relazioni ufficiali, con il suo 20% dei consensi sta all’opposizione rispetto a Vladimir Putin. Ma, al di là della simpatia o meno per le politiche di Putin, bisogna dare atto che la Russia ha cercato per otto anni il dialogo con l’Ucraina sulla base dgli accordi di Minsk, continuamente violati dal governo ucraino, il quale non ha voluto riconoscere alcun diritto alla popolazione russofona, ha continuato a bombardare il Donbass e si è reso «utile idiota» degli USA e della NATO, i quali hanno sacrificato l’Ucraina per far scoppiare a tutti i costi questa guerra così da impedire una cooperazione troppo stretta fra Europa e Russia, basti pensare al gas. Non so se siamo tornati al 1991 ma il clima di «guerra fredda» c’era già da qualche tempo, basta ascoltare i nostri telegiornali in cui cinesi e russi sono sempre dipinti al limite del caricaturale e costantemente demonizzati. Il fatto grave è che il movimento pacifista è stato reso perlopiù innocuo e molta parte della sinistra, avendo rinunciato alla categoria analitica di «imperialismo» da decenni, oggi fatica a leggere la realtà geopolitica con una propria Weltanschuung indipendente, come invece si sforza ancora di fare il Partito Comunista.

Se l’Occidente da la colpa alla Russia, per l’uomo che la governa – Vladrimir Putin –  la colpa è inequivocabilmente ..dei comunisti. Giro la domanda: è colpa vostra se l’Ucraina si è trovata in situazione tanto difficile?

Non sono d’accordo con Putin ma mi sembra anche il minore dei problemi: i suoi giudizi contro i bolscevichi sono discutibili anche perché la politica di Lenin ha comunque permesso ai popoli russo e ucraino di vivere in pace per lungo tempo mentre oggi sono in guerra. Si può naturalmente discutere criticamente sulla politica delle nazionalità messa in atto dall’Unione Sovietica, ma diciamo anche che le critiche di Putin servono a tenere buona una parte dell’oligarchia russa che lo appoggia e non mi stupiscono: Putin non è un comunista e non pretendo nemmeno che lo sia. L’Ucraina si trova in una situazione tanto difficile a causa del movimento golpista di Euromaidan del 2014 che l’ha resa una colonia di USA e UE e ha distrutto le condizioni di vita dei lavoratori ucraini e ha sciaguratamente promosso una guerra fratricida negli ultimi 8 anni senza i media occidentali se ne accorgessero.

Credete che il riconoscimento da parte degli Stati Europei nei confronti delle nuove repubbliche possa essere un precedente pericoloso per Catalogna, Padania, Irlandesi, independentisti Corsi e Sardi, ribelli Malcantonesi e via discorrendo che ambiscono a maggiore indipendenza?

Chiedo scusa, ma così formulata questa domanda non è seria. Lasciamo stare per favore padani o i  ribelli malcantonesi : il tema è reale, complesso e delicato. Come detto in precedenza il principio dell’integrità territoriale degli stati nazionali è fondamentale per una politica di pace e di sicurezza globale, e infatti la Cina non si sbilancia anche per questo sul caso ucraino. Troppo spesso l’imperialismo atlantico, cioè la NATO, usa strumentalmente il principio di autodeterminazione dei popoli per balcanizzare quei paesi che non ubbidiscono a Washington per indebolirli esacerbando conflitti etnici, ad esempio in Siria. Ogni caso però è diverso e non possiamo paragonarli frettolosamente anche perché non tutti i separatismi etnici sono considerabili processi di liberazione nazionale e mentre alcune realtà si risolvono in termini politici altre degenerano in sanguinose rivolte armate che impoveriscono ancora di più i popoli. Nel caso ucraino adesso occorrerà vedere se Kiev e Mosca riapriranno il dialogo come auspico e che termini di autonomia potranno essere garantite al popolo russo in Donbass che è quello che più di tutti ha sofferto negli ultimi anni a causa delle politiche criminali del governo ucraino che – è bene ricordarlo – non solo è stato armato dagli USA ma aveva chiari vincoli con l’estrema destra nazifascista dei nostalgici del collaborazionista hitleriano Stepan Bandera, citato sia da Putin quando parla di di «denazificare» l’Ucraina, sia dal presidente del PCFR Zyuganov.

Quali saranno i possibili sviluppi  che prevedete ? La situazione potrebbe degenerare nell’est europeo (mi riferisco ai balcani) oppure la cosa si sgonfierà con buona pace dell’Ucraina ?

È ancora troppo presto per dirlo. Confido che si arrivi a un cessato il fuoco e che, con la sconfitta probabile del governo ucraino, che – lo ripeto – è responsabile del massacro dei civili russi in Donbass e che con le sue bombe ha provocato fino all’ultimo Mosca, il dialogo fra russi e ucraini possa riprendere. Una smilitarizzazione e uno statuto neutrale dell’Ucraina potrebbero permettere il ritorno a un certo equilibrio a vantaggio di entrambi i popoli e della sicurezza in Europa. Ma una cosa deve esserci chiara: l’epoca in cui russi, cinesi e in generale i paesi più poveri o non allineati con l’atlantismo stavano zitti – come successo ai tempi delle azioni occidentali contro la Serbia o la Libia – è tramontato. Se gli USA o la NATO provocano, dobbiamo essere consapevoli che subiranno risposte inattese (come appunto dimostra l’entrata della Russia fino a Kiev), ecco perché è fondamentale che la Svizzera riaffermi la propria neutralità, rinunci ai vincoli di collaborazione con la NATO, e al posto di sanzioni unilaterali favorisce la cooperazione win-win. Questo lo capiscono non solo il Partito Comunista, ma anche una parte della borghesia svizzera, quella già oggi meno dipendente dall’UE e dagli USA, che però non è ancora prevelente nel paese.